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La Brigata Maiella e la Liberazione

25 Aprile 2025 da Redazione

di Nicola Mattoscio*

La gioiosa parola Liberazione non potrebbe spiegare la disumanità del nazifascismo, la terribile violenza della Seconda guerra mondiale, e soprattutto la tragedia della guerra in casa come l’hanno vissuta gli italiani dal luglio del 1943 all’aprile del 1945. Bisognerebbe ricordare sempre che fin dal 1939, in aggiunta alle gravi responsabilità delle guerre coloniali e in quella civile spagnola, l’Italia era un Paese colpevole di aver portato nel mondo la sua nefasta aggressione, anche razzista. Una guerra feroce, quella combattuta dal nostro Paese, prima in territori distanti ed esotici, come l’Etiopia, poi in Albania, in Grecia, per finire nelle immense distese Ucraine e delle steppe russe e, solo dopo, giunta sul suolo nazionale, quando nel luglio del 1943 gli Alleati sbarcano in Sicilia.

Il giorno fatidico dell’8 settembre, dopo circa 39 mesi di conflitto affianco ai tedeschi, gli italiani voltavano pagina verso un quanto mai ignoto destino. Per la sua collocazione e conformazione geografica, l’Abruzzo finiva per diventare il palcoscenico naturale sul quale si recitarono eventi tra i più spettacolari e tragici avvenuti in quei mesi. La liberazione di Mussolini dalla sua detenzione sull’altopiano di Campo Imperatore, il 12 settembre, da dove fu scortato fino a Monaco di Baviera per poi essere rispedito da Hitler nel Nord Italia a capeggiare il cupo governo della Repubblica Sociale Italiana. Quasi in sovrapposizione, si consuma la fuga ignominiosa del Re dalla capitale, che veniva abbandonata per la via più breve, la Tiburtina-Valeria, per permettere al monarca e ai capi di Stato maggiore delle tre Armi di raggiungere Brindisi, già liberata, il mattino del 10 settembre, dopo avere impartito sommarie e confuse indicazioni sul rispetto delle clausole convenute con l’armistizio.

Era stato Hitler in persona ad ordinare il 2 ottobre 1943 che l’asse Gaeta-Ortona, denominato Linea Gustav, venisse presidiato con larghezza di mezzi e determinazione. I massicci montuosi dell’Appennino centro-meridionale, incisi da anguste valli, offrivano un eccellente terreno di difesa, il migliore lungo la penisola. Il Comando era affidato al temibile Feldmaresciallo Kesselring, che qui era deciso a resistere ad oltranza. Come annotò Churchill nelle sue memorie, dopo «un anno di ritirate quasi ininterrotte in Africa, in Sicilia e nell’Italia meridionale, le truppe tedesche furono liete di voltarsi e cominciare a combattere». L’Abruzzo si ritrovò lungo la linea del fuoco, attraverso la dorsale del bacino Sangro-Aventino, la zona a sud est della provincia aquilana a ridosso di Roccaraso e con la direttrice che da Palena giunge fino ad Ortona. Qui le forze tedesche misero in atto la tattica della terra bruciata: non solo abbatterono ponti, strade, ferrovie, porti, per creare ostacoli e difficoltà alla marcia del nemico, ma annientarono ogni possibile condizione di vita rispettosa della dignità umana, radendo al suolo centri abitati e casolari di campagna, azzerando qualunque fonte di sostentamento, col proposito deliberato di non lasciare dietro di sé che macerie e campi minati.

Proprio qui si ebbero esempi fulgidi della nostra resistenza. La vicenda militarmente e politicamente più emblematica dell’autunno-inverno 1943-1944, dopo la battaglia di Bosco Martese e la Rivolta di Lanciano, è rappresentato in Abruzzo dalla nascita della Brigata Maiella, per iniziativa e sotto la guida di Ettore Troilo, avvocato, combattente da interventista nella Grande Guerra, che si era formato nell’ambiente del socialismo. A Milano aveva frequentato nel dopoguerra il salotto di Filippo Turati e Anna Kuliscioff e poi, a Roma, aveva collaborato per breve tempo con la segreteria di Giacomo Matteotti poco prima che l’emblematico leader venisse assassinato dai fascisti. Il merito di Troilo fu di aver dato spessore ideale agli episodi di rivolta avvenuti nell’area tra il Sangro-Aventino, facendo evolvere le intenzioni di circoscritta partecipazione alle attività per la liberazione dei paesi della Maiella, verso una consapevolezza politica finalizzata alla riconquista dell’unità nazionale e alla costruzione di nuove istituzioni democratiche e repubblicane. Questi valori vengono condivisi già nel febbraio del 1944, con l’adozione dei nastrini tricolore al posto delle stellette al momento dell’inquadramento solo amministrativo nel ricostituendo esercito sabaudo, senza giurare fedeltà al Re, e poi ancora nel marzo col clamoroso rifiuto di rispondere al saluto militare al monarca.

I patrioti della Brigata Maiella uscirono dai confini abruzzesi per combattere oltre il territorio d’origine e ricostituire l’unità nazionale contribuendo significativamente alla liberazione dei fratelli del Nord, come dichiaravano in tutti i manifesti affissi nei territori via via liberati. La loro azione andava ben oltre la jacquerie, la lotta per la difesa della roba, dei limiti ristretti delle proprie prossimità. I giovani combattenti erano perfettamente in grado di recepire e condividere messaggi di ampia portata politica, come quello diffuso da Troilo in occasione del 1 maggio 1944 per la “solidarietà internazionale e la giustizia sociale”, che richiamava le ragioni dell’antifascismo italiano e la figura di Matteotti, nella migliore tradizione del socialismo riformista. Fu proprio l’individuazione di un duplice nemico – tedesco e fascista – che caratterizzò la Resistenza italiana, un movimento di liberazione non solo dallo straniero, ma anche da un regime che aveva da vent’anni soppresso tutte le libertà costituzionali, e infine gettato l’Italia impreparata e impotente nel rogo della guerra portata nel mondo e nel cuore dell’Europa.

Se abbiamo potuto partecipare alla Conferenza di Parigi per la pace, se abbiamo potuto scrivere la nostra Costituzione, lo dobbiamo a quegli uomini e a quelle donne che ottant’anni fa si batterono per la liberazione. Per questo il 25 aprile non rappresenta la scelta tra la destra e la sinistra, ma tra la barbarie e la civiltà. E la data, nel calendario civile, rappresenta un baluardo per riconoscere il valore fondante della guerra di Liberazione, combattuta per la dignità umana e per la pace dagli eserciti alleati e dai giovani resistenti che ottant’anni fa misero in gioco la loro vita per regalare alle nuove generazioni un futuro di pace e di democrazia.

*Presidente Fondazione Brigata Maiella

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