Poco più di un anno fa, ci eravamo lasciati così: “I giornalisti italiani godono di un clima di libertà. Tuttavia, a volte cedono alla tentazione di autocensurarsi, sia per conformarsi alla linea editoriale della propria organizzazione di notizie, sia per evitare una denuncia per diffamazione o altre forme di azione legale, o per timore di rappresaglie da parte di gruppi estremisti o della criminalità organizzata”. E’ un sunto del rapporto di Report sans frontières (Rsf) presentato la scorsa primavera. Come sono messe ora le cose?
In attesa della nuova classifica – quella vecchia vedeva l’Italia al 41° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa – possiamo già affermare che è inutile attendersi mirabilie. Nel Bel Paese stiamo messi male ed è di parziale conforto sapere che in molti posti stanno messi peggio. Noi siamo l’occidente democratico, non dimentichiamolo.
Tra i grandi problemi, e questo non potranno certo rilevarlo le classifiche, annoveriamo il peggioramento della situazione economica dei giornalisti e la mancanza di un mercato del lavoro degno di questo nome, che indirettamente, ma in maniera concreta e subdola, ledono l’essenza stessa della libertà di stampa. Un baluginio di speranza c’è ed è nelle testate digitali che, al netto di deficit strutturali, una certa improvvisazione e aderenze più o meno vistose a questo o a quello, stanno garantendo uno dei capisaldi del giornalismo e dell’informazione: il pluralismo. (emmeci)