Un piccolissimo comune abruzzese nella Valle del Sangro, in provincia di Chieti, Villa Santa Maria, dal 1500 forma generazioni di maestranze esperte nell’arte culinaria e alberghiera, tanto da essere conosciuto come la patria dei cuochi. Qui è nato anche il santo patrono della categoria, San Francesco Caracciolo.
Gli chef villesi hanno raggiunto ogni parte del mondo, lavorando in luoghi di prestigio: dalla Casa Bianca alle ambasciate, dalle famiglie aristocratiche, ai grandi hotel di Roma, Londra, Parigi, New York, Città del Messico, Nuova Delhi.
L’identità culinaria inizia a formarsi intorno alla fine del XVI secolo grazie all’impulso dei Caracciolo, famiglia napoletana feudataria della cittadina. Per allestire i banchetti al termine delle battute di caccia, veniva impiegata tutta la servitù, anche quella non addetta alla cucina. Il principe Ferrante Caracciolo, all’inizio del 1600, diede organicità alla formazione di queste competenze istituendo una primordiale scuola per cuochi e addetti al servizio. Cucinieri, cochi e maccaronari cercarono poi impiego fuori dal proprio paese, diventando “pellegrini del mangiar bene”, come li definisce lo storico locale Nicola Tantimonaco.
Formati nell’ambiente dei Caracciolo ed esponenti della scuola gastronomica napoletana, molti cuochi villesi ottennero il titolo onorifico di Monzù, termine nato nella corte borbonica. Monzù Nicola Palumbo, nel 1880, lavorò in Giappone per l’Imperatore. Nello stesso periodo a Roma, il villese Francesco Pellegrini metteva a punto il servizio di pasti a domicilio: le vivande venivano consegnate ancora calde, protette da coperchi in legno e trasportate su un carretto con un braciere alimentato a carbonella. Monzù Domenicantonio Di Lello, detto Uocchiazzull, l’11 febbraio 1929 preparò il pranzo che seguì la firma dei Patti Lateranensi, inventando per l’occasione l’Aragosta della Conciliazione, con riso pilaf allo zafferano, medaglioni del crostaceo con salsa indiana e salsa americana, aggiunta di pistacchi, tartufo e lingua salmistrata. Sempre lui, al servizio delle famiglie aristocratiche, ebbe modo di preparare più volte al re Vittorio Emanuele III il suo piatto preferito: pasta e fagioli. Fu sempre un cuoco villese, Aquilino Beneduce, a servire il re in fuga il 9 settembre 1943, mentre era ospite al castello di Crecchio, in provincia di Chieti, residenza del duca Bovino de Riseis, senatore del Regno. La cena era composta da nove portate, poi il re e il suo seguito raggiunsero il vicino porto di Ortona per imbarcarsi alla volta di Brindisi.
Nei decenni successivi proseguì nel mondo l’intensa attività di cuochi, albergatori e barman villesi. Le competenze tradizionali entrarono nell’industria, come dimostra il caso di Guido Marchitelli, Research chef in aziende come la Lipton Tea e la Buitoni di New York, per la quale diede il nome al formato di pasta ripiena Tortellini Guido.
La coscienza di costituire una categoria professionale portò i cuochi a strutturarsi già dai primi anni del Novecento. Nel 1914 a Villa Santa Maria fu fondato il S.A.C.I.A. – Sindacato d’Arte Culinaria ed Impiegati d’Albergo, società di mutuo soccorso e centro di smistamento delle offerte lavorative. Nel 1978 venne costituita l’A.R.C.A. – Associazione Regionale Cuochi d’Abruzzo, aggregata alla F.I.C. – Federazione Italiana Cuochi.
Si organizzò anche l’aspetto formativo e nel 1939 venne fondato il “Regio Corso Biennale di Avviamento Professionale a tipo Commerciale Alberghiero”, uno dei primi istituti di questo tipo in Italia. La scuola è diventata nei decenni un punto di riferimento per la formazione delle professionalità della ristorazione, con due convitti annessi.
C’è anche il sigillo religioso a rafforzare il ruolo di Villa Santa Maria, perché nel 1996 San Francesco Caracciolo è stato proclamato patrono dei cuochi d’Italia. Il santo nacque proprio nella cittadina il 13 ottobre 1563, nella residenza familiare dove ora ha sede il Museo dei Cuochi. Ogni anno, nei giorni della sua nascita, si svolge nel paese la Rassegna dei Cuochi, giunta nel 2023 alla 47a edizione. Durante la manifestazione la statua del santo viene portata in processione dai toque blanques, i tocchi bianchi, dal nome del tipico cappello a cilindro.
A Villa Santa Maria, la cucina non è solo un mestiere, ma un modo di vivere, un’espressione di identità culturale. La gastronomia rappresenta un’opportunità di lavoro, di apprendimento e di crescita personale e collettiva. L’arte culinaria ha connotato il paese anche nel contesto locale. La sua emigrazione è stata diversa da quella dei centri limitrofi, mossa dalla ricerca di opportunità per esprimere competenze e creatività, in luoghi di prestigio e con rimesse sostanziose. I villesi hanno acquisito presto una consapevolezza di categoria e maturato un forte spirito imprenditoriale.
Ora questa identità si sente a rischio. La fucina delle sue competenze, l’Istituto alberghiero intitolato al cuoco Giovanni Marchitelli, nel 2010 contava più di 700 iscritti, nel 2023 meno della metà e sembra inarrestabile la perdita di studenti che preferiscono frequentare la stessa scuola ma a Pescara, città più attrattiva di un comune dell’entroterra.
A Villa Santa Maria si parla di cucina da cinque secoli. Un discorso poliglotta che non ha conosciuto soluzione di continuità ed è stato capace di aggiornarsi, adeguandosi al gusto, alle tendenze, alle esigenze dei tempi. Oggi, grazie all’impulso dei villesi, prosegue l’operazione culturale che individua nella gastronomia lo strumento di rilancio del comune e di quei territori dell’Abruzzo interno che, tra tradizione e sostenibilità, si prestano a candidarsi come luoghi di alto valore turistico e culturale.
Michela Di Michele