Nel novembre del 1943 a Pietransieri, una piccola frazione di Roccaraso, a 1400 metri, abitata da alcune centinaia di persone, i soldati tedeschi della Wehrmacht si rendono colpevoli della più grave strage nazista compiuta in Abruzzo contro civili innocenti, in gran parte donne e bambini di pochi anni, uno di appena un mese. Vengono trucidate 128 persone, molte delle quali nei casolari di Limmari, dove pensavano di sfuggire alla furia tedesca. Quel posto nelle carte ufficiali si chiamava Valle della Vita, ma dopo la strage fu ribattezzata Valle della Morte. Dall’alto di Pietransieri si domina l’intera vallata dell’Alto Sangro e per questo in quell’autunno maledetto del 1943, questa frazione fu occupata dalla Prima divisione paracadutisti comandata dal generale Richard Heidrich.
Il comandante Feldmaresciallo tedesco Kesserling, aveva ordinato il 30 ottobre del 1943 lo sgombero totale di questa zona di guerra, imponendo alla popolazione di sfollare a Sulmona. Chi sarebbe rimasto entro le 12 del giorno dopo sarebbe stato considerato un ribelle a cui riservare il trattamento stabilito dalle leggi di guerra dell’Esercito germanico.
Fu ordinata la distruzione di Pietransieri per esigenze di guerra.
La strage inizia radendo al suolo la frazione, minando e incendiando ogni casa, anche una con dentro un’anziana paralizzata. L’inverno a 1400 metri arriva presto e tante famiglie senza casa sono costrette a incamminarsi nel fango e nella neve nell’Altopiano delle Cinque Miglia per scendere a Sulmona dopo decine di kilometri di marcia passando per Rocca Pia e Pettorano sul Gizio.
Ma molti pensano di trovare rifugio nei vicini e isolati casolari di Limmari anche per non perdere le poche cose che avevano e soprattutto gli animali, fonte preziosa di sopravvivenza per le popolazioni di montagna. Ma quelle masserie scoperte dai tedeschi che presidiano le linee di combattimento diventano una trappola mortale.
Nella domenica del 21 novembre 1943 i paracadutisti al comando di un capitano del Terzo battaglione del Primo reggimento, probabilmente Georg Schulze, procedono alla distruzione dei quattro casolari D’Aloisio, Macerelli, D’Amico, Di Virgilio con bombe a mano e mitragliate bruciando tutte le persone che si erano illuse di trovarvi un rifugio.
Non fu neanche una rappresaglia (ammesso che fosse una disumana giustificazione), ma uno spietato e irragionevole crimine di guerra in violazione di ogni diritto internazionale e di guerra. Anche chi si era nascosto nei boschi fu braccato e ucciso.
Costantino Felice nel suo libro Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, ricostruisce, con la sua sapienza storica, questa strage e anche le successive inchieste del dopoguerra per individuarne i responsabili. Conclude sconsolatamente che non ci fu nessun risultato né da parte della magistratura ordinaria né di quella militare, sia in Italia che in Germania. Per Kesserling, deceduto il 15 luglio 1960, il reato venne estinto “per morte del reo”. Il capitano Georg Schulze, che quasi certamente comandava i paracadutisti che mitragliavano e bombardavano i casolari con le donne, gli anziani e i bambini dentro, come tanti altri criminali di guerra tedeschi, è morto sereno nel suo letto di casa, in Germania. Lo Stato tedesco non ha ammesso nessuna colpa e non ha operato nessun risarcimento.
Pietransieri é una delle tante stragi dimenticate nel famigerato armadio della vergogna.
Per tutto l’inverno del 1943-44, i corpi delle vittime innocenti rimasero sotto le macerie e la neve. Solo a primavera inoltrata del 1944 la pietà umana dei parenti sopravvissuti si occupò di quanto restava di quei poveri corpi.
Oggi a Pietransieri c’è un Sacrario che li ricorda, uno per uno. Gli abruzzesi in maggioranza non lo conoscono perché coltivare e condividere la memoria non è una cosa scontata.
Eppure sarebbe necessario farlo a partire dai ragazzi ai quali una visita scolastica a Pietransieri, in quei luoghi dove maturò una strage così disumana, potrebbe essere un’ottima lezione di educazione civica per apprezzare i valori della pace e del ripudio della guerra non a caso al centro della Costituzione italiana nata dalla Resistenza.
Gianni Melilla