
di Gianni Melilla*
Al di là del merito sui 5 referendum, mi ha molto meravigliato da parte di esponenti politici, con rilevanti incarichi parlamentari e di governo, l’invito a non votare nei prossimi referendum dell’8 e 9 giugno. Si tratta di una posizione scorretta che non rispetta la Costituzione che all’articolo 48 recita:” …Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
Dunque la Costituzione sostiene che il voto oltre che un diritto, è anche un “dovere civico”.
Il fatto che questa disposizione costituzionale sia violata da chi invita a non votare al prossimo referendum, è un segno dei tempi cupi che viviamo politicamente. Mai nella Prima Repubblica, quella democratica dei partiti, a un politico, o peggio ancora ad un alto rappresentante delle Istituzioni, è mai venuto in mente di chiedere ai cittadini di non rispettare il principio costituzionale del voto come “dovere civico”. E infatti nella prima Repubblica le percentuali di partecipazione al voto superavano sempre l’80% e in molti casi anche il 90% degli aventi diritto. Al primo referendum nel 1974 sul divorzio si raggiunse l’87% di partecipazione al voto. Alle elezioni politiche e amministrative la partecipazione era sugli stessi altissimi livelli.
La democrazia era per questo solida e basata sulla partecipazione politica ed elettorale.
Oggi non è più così. Alle ultime elezioni politiche europee ha partecipato il 49% degli aventi diritto, cioè meno della maggioranza. Gli ultimi referendum non hanno mai raggiunto il quorum del 50% ( tranne quello sull’acqua) anche perché chi è contro i quesiti, al posto di confrontarsi nel merito dei quesiti e votare coerentemente No, si rifugia truffaldinamente nel non voto appropriandosi così della massa informe che non vota in modo crescente ad ogni elezione. E dunque il referendum viene svuotato del suo significato democratico con un danno politico enorme a questo unico istituto di democrazia diretta.
Indubbiamente la legge istitutiva del referendum abbisogna di alcuni cambiamenti per recuperare la sua efficacia. Innanzitutto bisognerebbe aumentare il numero delle firme per chiederlo, anche perché le firme oggi si raccolgono non solo nella forma cartacea tradizionale, ma anche on line e questo semplifica di molto la raccolta. Inoltre bisognerebbe rivedere la soglia del quorum per rendere realmente decisivo il voto sui quesiti referendari. Una soluzione ragionevole sarebbe il riferimento al quorum delle ultime elezioni politiche precedenti il referendum. Questa soluzione era quella scelta in occasione della riforma costituzionale di Renzi. Ma poi la bocciatura della riforma nel referendum costituzionale ( dove peraltro non c’è nessun quorum), fece cadere anche le suddette e proposte modificative dell’istituto del referendum).
In conclusione al referendum dell’8 e 9 giugno se si rispetta la Costituzione si va a votare scegliendo le tre classiche modalità di voto: si, no, bianca ( cioè l’astensione). Il non voto non va confuso con l’astensione. Sono due cose diverse.
Non votare è semplicemente una fuga dal “dovere civico” di esercitare il voto, così come sancito dall’articolo 48 della Costituzione. Ed è anche un modo strumentale di boicottare il referendum rifugiandosi nel non raggiungimento del quorum del 50%. Nel merito dei quesiti non intendo neanche esprimere la mia opinione perché ritengo di gran lunga più importante invitare i cittadini italiani a votare. Votare come meglio credono con un Si, o con un No o con una scheda bianca di astensione. Attenti a non segare il ramo su cui poggia la democrazia cioè la partecipazione alle elezioni e alla vita politica.
*Parlamentare e consigliere regionale emerito