di Ernesto Grippo*
Una pagina triste di ordinaria confusione è stata scritta nell’ultimo Consiglio comunale di Pescara. Il racconto. Una giovane che assiste alla seduta consiliare per l’approvazione del bilancio avrebbe alzato la voce per contestare l’operato del sindaco. Un ufficiale della polizia locale, Marchegiani, così individuato dal presidente del consiglio Santilli – non si comprende perché lo abbia chiamato per cognome e non per grado, forse perché sono passati ben 18 mesi e il Comando di Pescara non ha ancora adeguato i gradi militari a quelli civili previsti dalla Regione Abruzzo? – interviene e preleva la giovane per condurla fuori dall’aula.
Ecco che consiglieri dell’opposizione raggiungono l’ufficiale e la giovane all’ingresso dell’aula chiedendo le ragioni della coazione fisica. Ne nasce un alterco, con il Consiglio che non viene sospeso e con il presidente che scende dallo scranno e raggiunge il gruppetto in evidente stato di agitazione. A Pescara è stata scritta una pagina di vituperio delle istituzioni.
Ma cerchiamo di mettere ordine. Partendo proprio dal regolamento di funzionamento del Consiglio Comunale che, all’art.47, oltre a stabilire il doveroso comportamento del pubblico che “deve astenersi da ogni manifestazione di assenso o dissenso dalle opinioni espresse dai consiglieri” statuisce al comma 3 che “I poteri per il mantenimento dell’ordine nella parte della sala destinata al pubblico spettano discrezionalmente al presidente, che li esercita avvalendosi, ove occorra, dell’opera dei vigili urbani….. alle dirette dipendenze del presidente”.
Al comma 4 dell’art.47 si precisa che la forza pubblica “(Polizia locale e non Vigili urbani come è scritto nel regolamento di recente modificato infischiandosene della corretta denominazione) “può entrare nell’aula solo su richiesta del presidente e dopo che sia stata sospesa o tolta la seduta.”
E cominciano a sorgere i primi dubbi ed emergono le approssimazioni. Il presidente Santilli ha sospeso la seduta ed ha richiesto successivamente dal suo scranno alla polizia locale di entrare in aula? Se è accaduto è agli atti del Consiglio se, invece, non si rinviene traccia della sospensione e della formale richiesta a che titolo la polizia locale è entrata in aula e a fare cosa?
Sempre il regolamento stabilisce, all’art. 47 comma 5, che “Quando da parte di persone che assistono all’adunanza viene arrecato turbamento ai lavori della stessa o al pubblico presente, il presidente, dopo averle verbalmente diffidate a tenere un comportamento conforme a quanto stabilito dal primo comma, può ordinarne l’allontanamento dalla sala fino al termine dell’adunanza.”
Anche di questo invito del presidente alla giovane pescarese deve esserci traccia negli atti del Consiglio, così come deve, ribadiamo, esserci traccia della sospensione del Consiglio, altrimenti la Polizia locale non poteva intervenire e se lo ha fatto ha commesso un atto illegittimo senza se e senza ma.
Il presidente, se non aveva interrotto la seduta, doveva invitare la Polizia locale, che stava intervenendo abusivamente, a soprassedere.
Ovviamente, auspichiamo che la disciplina di comportamento del pubblico sia stata resa nota nelle forme previsto dall’art. 47 comma 6, che prevede che “il presidente, fa predisporre l’illustrazione delle norme di comportamento del pubblico previste dal presente articolo, che viene esposta nello spazio della sala delle adunanze allo stesso riservato”.
Ma ammettiamo che tutto sia andato come sarebbe dovuto andare. Quindi, il presidente ha sospeso la seduta e ha invitato la forza pubblica a intervenire. A questo punto , Marchegiani, stando alle immagini televisive, prende di forza la giovane e la accompagna fuori. Degli atti dell’ufficiale ne avrà avuto contezza certamente il vertice del comando con un’annotazione di servizio e anche dell’uso della forza ne rimarrà traccia probabilmente in una annotazione di polizia giudiziaria perché potrebbe averlo fatto per il rifiuto di generalità previsto dall’art. 651 del Codice penale, che si configura quando le proprie generalità non vengono declinate all’operatore di polizia che ne faccia richiesta per qualsiasi ragione. Si tratta di un reato istantaneo che non viene meno se le stesse vengono declinate successivamente.
Se, poi, non è questa la fattispecie quale altra grave violazione è stata commessa dalla cittadina per subire una coazione fisica? E se tale è stata la corretta veemenza dell’intervento della Polizia locale per un rifiuto di generalità è auspicabile che la tempestività e perentorietà dell’azione si registri quotidianamente in tutta la città proprio in quella attività di polizia di sicurezza, che dovrebbe vedere in prima fila la Polizia locale, e che prevede il fermo di identificazione previsto dall’art. 11 del decreto legge 21 marzo 1978 n. 59 . La sacralità dell’istituzione, la solennità della seduta e il rispetto per i cittadini sono state adombrate da una serie di atti sui quali è giusto venga fatta chiarezza.
*Comandante Polizia locale Roseto degli Abruzzi