di Gianni Melilla*
Il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi ricostruisce la storia del Msi in un modo agiografico che non ha fondamento storico. Cambiare la Storia per fini politici è un segno di debolezza. Altra cosa è, invece, rivendicare le proprie radici senza ometterne i punti più oscuri, e nel contempo sottolineare i cambiamenti radicali che la destra italiana ha fatto in particolare con la svolta di Fiuggi. Biondi sceglie una traiettoria di comodo della vicenda della destra italiana rappresentata largamente dal Msi, e in parte residua da organizzazioni criminali come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, i Nar.
Non voglio insistere sul peccato originale della nascita del Msi il 26 dicembre 1946 in continuità politica e biografica con il fascismo storico e con la Repubblica Sociale di Mussolini. Il vice segretario del Partito repubblicano fascista Pino Romualdi ne era il capo naturale, ma essendo ricercato e latitante, dovette cedere la direzione del Msi ad Almirante e Michelini che, peraltro, esprimevano linee politiche diverse e per decenni sono stati in aspro conflitto personale e politico.
Almirante fu il primo segretario missino e aveva una linea radicalmente antidemocratica e anticostituzionale. Questa linea Almirante l’ha conservata sino alla morte e la sua coerenza gli va riconosciuta come un segno distintivo del suo carattere di combattente fascista e repubblichino. La sua visione politica non prevede che il Msi si inserisca nel sistema costituzionale, anzi vuole che si ponga contro di esso. E per questo il Msi deve chiedere la revisione totale della Costituzione. Non a caso il Msi non ha mai fatto parte dell’arco costituzionale, cioè dei partiti che si riconoscevano nella Costituzione.
Dopo pochi anni come segretario del Msi, Almirante fu sconfitto da Michelini, che restò alla guida del Msi dagli anni ’50 sino alla sua morte nel 1969. Michelini aveva una linea conservatrice che lo spinse in varie occasioni a una intesa con la Dc, come ad esempio nella elezione di Segni a presidente della Repubblica nel 1962 e nella nascita del Governo Tambroni nel 1960 con i voti decisivi dei parlamentari missini. Ma il suo progetto di inserimento del Msi nell’area di governo non si affermò. Quando morì Michelini nel 1969, Almirante fu eletto segretario su una linea sempre anticostituzionale che puntava a riaggregare l’intera destra comprese le frange neofasciste e più estremiste come Ordine Nuovo di Rauti.
Peraltro Rauti, ex repubblichino sempre alleato di Almirante, fu eletto segretario del Msi nel 1990-1991 mettendo in minoranza Fini succeduto ad Almirante dopo la sua scomparsa.
Ordine Nuovo è stato condannato in via definitiva per la strage di Piazza Fontana, è giudicato responsabile di decine di attentati dinamitardi negli anni ’70, in cui persero la vita centinaia di cittadini inermi, magistrati, poliziotti e carabinieri. Ignorare che uno dei presidenti del Msi è stato Junio Valerio Borghese che nel 1970 si rese protagonista di un tentato colpo di stato, non è serio, così come le candidature nelle liste missine al Parlamento negli anni ’70 di generali e ammiragli golpisti, alcuni dei quali affiliati anche alla P2.
Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, negli anni ’70 furono sciolte in quanto organizzazioni fasciste e i giudici che le indagarono furono poi uccisi dai terroristi neofascisti.
Il 7 giugno 1972 il Parlamento concedeva l’autorizzazione a procedere anche contro Almirante in quanto segretario del Msi per la ricostituzione del partito fascista, su richiesta del Magistrato milanese Bianchi D’Espinosa, che allegò decine di faldoni con tantissimi rapporti di polizia e carabinieri sulle attività violente del Msi.
Il presidente Andreotti della destra Dc si dichiarò contrario allo scioglimento del MSI di Almirante, a differenza di quasi tutti gli altri dirigenti della Dc. E quella richiesta del procuratore di Milano, autorizzata dal Parlamento , si perse nel porto delle nebbie della Procura di Roma, che era guidata allora dal magistrato Carmelo Spagnuolo che poi si seppe affiliato alla loggia massonica P2.
La P2 ha avuto un ruolo malefico e criminale nella storia italiana.
Tra le nefandezze della P2 di Gelli vi fu anche il finanziamento dei neofascisti che misero la bomba alla stazione di Bologna nel 1980, la più grave per morti e feriti nella storia italiana.
La scissione del Msi, con la nascita di Democrazia Nazionale si colloca nella visione tradizionale di Michelini di fare la ruota di scorta della destra Dc ed entrare nell’area di governo dalla porta di servizio. E, infatti, non ebbe alcun seguito popolare nella base missina. Fu una mera operazione trasformistica e Almirante la bollò giustamente come un mero tradimento. Andreotti non a caso appoggiò dall’esterno quella scissione.
Il vero cambiamento del MSI venne molto dopo e fu promosso da Fini che a Fiuggi il 27 gennaio 1995 sciolse il MSI e fondó Alleanza Nazionale con l’ambizione di uscire dal ghetto anticostituzionale e proporsi come destra di governo. Contro Fini, non a caso, si schierò Rauti che non aderì al nuovo partito e fondò il Movimento Sociale-Fiamma Tricolore.
Fini definì il fascismo e la sua ideologia razzista, violenta e antidemocratica come un male assoluto. Fu una rottura vera e coraggiosa. A lui si deve l’approdo democratico di An. Quel processo politico promosso da Fini non si è però completato avendo incontrato l’ostilità di Berlusconi e la scarsa lealtà di alcuni ex dirigenti di An che tramarono contro Fini. Ma al di là degli errori di Fini, personali ( la famosa casa di Montecarlo) e politici ( la confluenza di An nel Pdl di Berlusconi ), il progetto di Fini ha “costituzionalizzato” la destra italiana e per questo va valutato come un fatto positivo per la democrazia italiana.
Le attuali timidezze dei Fratelli d’Italia di Meloni nel dichiarare apertamente la fedeltà alla Costituzione nata dalla Resistenza e dall’antifascismo, sono un passo indietro rispetto al coraggio e alla chiarezza della svolta di Fiuggi della destra di Fini.
Il sindaco Biondi racconta la destra italiana come una bella favola a lieto fine. Non è così. Fare i conti con la propria Storia non può significare dimenticare quella parte legata a fatti inquietanti e drammatici. Ammetterlo è un segno di forza e consapevolezza politica. Lo dico senza secondi fini, avendo lasciato ogni incarico politico e istituzionale da più di sei anni.
E lo dico anche per il rispetto che ho nei confronti del sindaco Biondi che ho conosciuto negli anni in cui ero consigliere regionale e lui giovanissimo frequentava il gruppo consiliare di An, con serietà e passione politica, doti molto rare in questi tempi.
*Presidente emerito del Consiglio regionale d’Abruzzo