Le dichiarazioni del sindaco Carlo Masci dopo le dimissioni di Fabrizio Trisi, il dirigente dei Lavori pubblici arrestato di lì a poco con accuse pesantissime, sono uno spaccato del decadente Palazzo di Città. Come diavolo fa un sindaco, peraltro di lunghissima militanza politica, a firmare una nota pubblica del genere? Rileggiamo: “Le dimissioni dell’architetto Fabrizio Trisi sono un gesto nobile che denota un profondo senso di responsabilità e del dovere, oltre alla sensibilità di anteporre l’interesse pubblico a quello personale. A lui rinnovo il mio personale apprezzamento come uomo e come professionista, unito al dispiacere per la sua decisione, che comprendo e rispetto. Auguro all’architetto Trisi di superare al più presto e nel migliore dei modi questa fase e di rivederlo al lavoro con quell’impegno e quella competenza che tutti a Palazzo di Città gli riconosciamo».
Per la cronaca, Fabrizio Trisi è agli arresti, insieme all’imprenditore Vincenzo De Leonibus e a due pusher, quindi spacciatori di droga, perché coinvolti in un’inchiesta giudiziaria che ipotizza diversi reati: dalla corruzione alla turbata libertà degli incanti, al peculato, alla detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Ci vorranno anni prima che la vicenda si concluda e fino all’eventuale condanna, non vi è dubbio, tutti sono innocenti. Abbiamo, però, intercettazioni telefoniche e ambientali, oramai in parte pubbliche, semplicemente inquietanti, dalle quali emerge un Trisi avvezzo alla cocaina, desideroso di soldi facili e talmente forte dell’incarico di lavoro – si badi bene, fiduciario – da gestire i Lavori pubblici come fossero cosa sua. Chi lo controllava?
Viene da chiedersi se Masci oggi riscriverebbe “gesto nobile”, “profondo senso di responsabilità e del dovere”, “sensibilità di anteporre l’interesse pubblico a quello privato”, “apprezzamento come uomo e come professionista”, “rivederlo al lavoro con quell’impegno e quella competenza che tutti a Palazzo di Città gli riconosciamo”. Delle due l’una: se il sindaco è consapevole di aver fatto dichiarazioni quantomeno inopportune, magari condizionate da insindacabile amicizia personale, fa ancora in tempo a chiedere scusa alla città. Se, invece, è convinto di avere usato la parole giuste, le confermi con un altro memorabile comunicato, così tutti prenderanno atto che il Comune di Pescara ha licenziato il senso del pudore. (emmeci)