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Oggi le due prove per il comandante della Polizia locale di Sulmona, ma l’Anac potrebbe intervenire

22 Maggio 2023 da Redazione

di Ernesto Grippo

Rischia di dare spazio a dubbi, perplessità e ricorsi la procedura adottata dal Comune di Sulmona per individuare il nuovo Dirigente comandante della Polizia locale. Stamane (lunedì 22 maggio), i candidati si stanno sottoponendo alla prima prova scritta nel palazzetto dello sport, nel pomeriggio la seconda prova scritta. A prescindere dall’opportunità di sottoporre i candidati a due prove scritte nella stessa giornata, le ombre sul concorso potrebbe essere ben altre: va verificato che non ci siano, nell’elenco dei candidati, persone che abbiano già lavorato con il Segretario presidente della commissione. Se così fosse, i dubbi sulla correttezza della procedura adottata dal Comune potrebbero essere palesi.

Oggetto di contestazione potrebbe essere proprio la determina dirigenziale n.77 del 20 marzo 2023 a firma del Segretario generale Giovanna Di Cristofano, con la quale si “autonomina” presidente della Commissione  di concorso per Dirigente comandante della Polizia locale e nomina come componenti  Luca Montanari, Comandante della Polizia locale di Avezzano e Stefano Bortone, Vice Questore aggiunto della Polizia di stato.

Nella premessa, il Segretario ha “dato atto dell’insussistenza di condizioni di conflitto di interessi, anche potenziali, ai sensi dell’art. 6 bis della legge 241/1990 , degli artt. 6 e 7 del DPR 62/2013 e del codice di comportamento integrativo del Comune di Sulmona”. Ma proprio su questo punto l’Autorità nazionale anticorruzione non la pensa proprio come il Segretario generale del Comune di Sulmona e lo ha scritto il suo Presidente il 22 febbraio 2023, nel fascicolo n. 353.

Sussisterebbe conflitto di interessi nel caso in cui un segretario comunale venga nominato Presidente della commissione giudicatrice di due concorsi pubblici indetti dallo stesso ente locale e tra i candidati vi siano siano dirigenti interni all’amministrazione che esterni, con i quali l’interessato ha o ha avuto stretti rapporti di natura lavorativa.

In via preliminare,  l’Autorità ha ricordato che le disposizioni sul conflitto di interessi fanno capo all’art. 6-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e agli articoli 6 e 7, del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con d.P.R. n. 62/2013 che prevedono una specifica disciplina relativa al conflitto di interesse e al conseguente obbligo di astensione.

Secondo l’Anac, nel nostro ordinamento non esiste una definizione univoca e generale di conflitto di interessi, né tantomeno una norma che preveda analiticamente tutte le ipotesi e gli elementi costitutivi di tale fattispecie. Per la  giurisprudenza amministrativa, la situazione di conflitto di interessi si configura quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico alla cui cura è preposto. L’interesse privato che potrebbe porsi in contrasto con l’interesse pubblico può essere di natura finanziaria, economica o dettato da particolari legami di parentela, affinità, convivenza o frequentazione abituale con i soggetti destinatari dell’azione amministrativa.

Vanno inoltre considerate tutte quelle ipotesi residuali in cui ricorrano “gravi ragioni di convenienza”, per cui è opportuno che il funzionario pubblico si astenga dall’esercizio della funzione amministrativa, proprio per evitare potenziali conseguenze come il danno all’immagine di imparzialità dell’amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni.

A tal  proposito, Anac ricorda le osservazioni formulate in via generale con riferimento ai componenti delle commissioni giudicatrici dei concorsi pubblici nella delibera del 15 gennaio 2020, n. 25, nella quale l’Autorità ha avuto modo di rilevare come i principi generali in materia di astensione e ricusazione del giudice, previsti dagli artt. 51 e 52 c.p.c., trovino applicazione anche nello svolgimento delle procedure concorsuali, in quanto strettamente connessi al trasparente e corretto esercizio delle funzioni pubbliche.

La giurisprudenza amministrativa è, infatti, intervenuta univocamente affermando il principio secondo il quale le cause di incompatibilità sancite dall’art. 51 c.p.c. devono considerarsi estese a tutti i campi dell’azione amministrativa in considerazione del principio costituzionale di imparzialità, affermandone al contempo il carattere tassativo e l’impossibilità di procedere ad un’estensione analogica delle stesse.

Tra le ipotesi di concreta applicazione e assimilabili al caso in esame, quella sulla composizione delle commissioni di concorso in ambito universitario, sostenendo che:

  • l’appartenenza allo stesso ufficio del candidato e il legame di subordinazione o di collaborazione tra i componenti della commissione e il candidato stesso non rientrano nelle ipotesi di astensione di cui all’art. 51 c.p.c.;
  • i rapporti personali di colleganza o di collaborazione tra alcuni componenti della commissione e determinati candidati non sono sufficienti a configurare un vizio della composizione della commissione stessa, non potendo le cause di incompatibilità previste dall’art. 51 (tra le quali non rientra l’appartenenza allo stesso ufficio e il rapporto di colleganza) essere oggetto di estensione analogica, in assenza di ulteriori e specifici indicatori di una situazione di particolare intensità e sistematicità, tale da dar luogo ad un vero e proprio sodalizio professionale;
  • la conoscenza personale e/o l’instaurazione di rapporti lavorativi ed accademici non sono di per sé motivi di astensione, a meno che i rapporti personali o professionali non siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali
  • «sussiste una causa di incompatibilità – con conseguente obbligo di astensione – per il componente di una commissione giudicatrice di concorso universitario ove risulti dimostrato che fra lo stesso e un candidato esista un rapporto di natura professionale con reciproci interessi di carattere economico ed una indubbia connotazione fiduciaria»
  • in sede di pubblico concorso l’incompatibilità tra esaminatore e concorrente si può realmente ravvisare non già in ogni forma di rapporto professionale o di collaborazione scientifica, ma soltanto in quei casi in cui tra i due sussista un concreto sodalizio di interessi economici, di lavoro o professionali talmente intensi da ingenerare il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva e genuina, ma condizionata da tale cointeressenza

Dunque, con più specifico riferimento ai rapporti lavorativi e/o professionale pregressi, nella delibera n. 25/2020, l’Autorità ha specificato come il legame di colleganza e/o di subordinazione o collaborazione tra i componenti della commissione e il candidato possa essere idoneo ad alterare sensibilmente la par condicio tra i concorrenti solo nel caso in cui sia caratterizzato da intensità, assiduità e sistematicità. L’Autorità ha ritenuto rilevante, ai fini della sussistenza di un conflitto di interesse, un rapporto professionale sistematico, stabile e continuo, tale da lasciar presupporre una comunione di interessi economici o di vita tra il candidato e il commissario.

Viene anche richiamata una sentenza della Corte di Appello della Corte dei Conti, nella quale i giudici tributari hanno ritenuto che: “Il conflitto di interessi può esprimersi, non solo in termini di grave “inimicizia” nei confronti di un candidato, ma anche in tutte le ipotesi di peculiare “amicizia” o assiduità nei rapporti (personali, scientifici, lavorativi, di studio), rispetto ad un altro concorrente, in misura tale che possa determinare anche solo il dubbio di un sostanziale “turbamento” o “offuscamento” del principio di imparzialità. Se è pur vero che, di regola, la sussistenza di singoli e occasionali rapporti di collaborazione tra uno dei candidati ed un membro della Commissione esaminatrice non comporta sensibili alterazioni della par condicio tra i concorrenti, è altrettanto vero che l’esistenza di un rapporto di collaborazione costante (per non dire assoluta) determina necessariamente un particolare vincolo di amicizia tra i detti soggetti, che è idonea a determinare una situazione di incompatibilità dalla quale sorge l’obbligo di astensione del Commissario, pena, in mancanza, il viziare in toto le operazioni concorsuali”.

Nel caso esaminato dall’Anac, che riguardava un comune siciliano, tenuto conto di quanto affermato dal soggetto interessato, che sarebbe chiamato a valutare candidati “con i quali sta avendo o, in altri casi, ha avuto stretti rapporti di natura lavorativa come tali comportanti rapporti di collaborazione costanti e frequenti con, dunque, il possibile concretizzarsi di gravi ragioni di convenienza”, sussiste un legame di colleganza e/o di subordinazione o collaborazione tra i soggetti interessati, idoneo ad alterare sensibilmente la par condicio tra i concorrenti, motivo per cui è opportuno che l’interessato si astenga, al fine di evitare potenziali conseguenze quali il danno all’immagine di imparzialità dell’amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni.

Una decisione che comunque Anac ha rimesso al Comune, a cui ha consigliato anche l’introduzione nel Piano Triennale della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza e nel Codice di comportamento dell’ente, di specifici obblighi di astensione delle figure amministrative di vertice finalizzati ad evitare di incorrere in situazioni di conflitto di interesse reale o anche solo potenziale.

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