Dal punto di vista dei cittadini, del mondo produttivo, dell’associazionismo e di una parte della politica è incomprensibile che, a distanza di nove anni dal referendum, Nuova Pescara non sia stata ancora realizzata. “Non lo hanno fatto perché non lo sanno fare” è una verità, seppur parziale, detta dal deputato Luciano D’Alfonso (Pd) durante il convegno tenutosi il 9 febbraio in Confindustria Chieti Pescara, in occasione della presentazione dello studio dell’architetto Alessandro Sonsini sui territori che compongono Nuova Pescara. Verità parziale per vari motivi. Due su tutti. Il primo: “non lo sanno fare” è l’etichetta oramai impressa a caldo sulla schiena della destra pescarese, montesilvanese e, in generale, abruzzese, deludente sotto ogni punto di vista e incapace di frenare l’arretramento dell’intera regione. Il secondo: D’Alfonso avrebbe dovuto dire “non lo abbiamo voluto fare”. Eh sì, perché è legittimo che l’ex governatore d’Abruzzo si presenti come il risolutore del problema, ma solo se si tiene conto che finora lui è stato parte, non minoritaria, del problema. I quattro anni dal referendum alla Legge di Fusione, lasso di tempo siderale, sono principalmente colpa sua che, in quelle stagioni, era chiamato al ruolo di legislatore in quanto presidente della Giunta regionale. Il papocchio del progetto di Legge per lo spostamento al 2027, che sta per andare in aula con le firme dei ‘destri’ Sospiri, D’Incecco e D’Addazio, è anche colpa sua perché – rispolveriamo la memoria – ha smesso di caldeggiare l’arrivo del Commissario, come da desiderata delle associazioni componenti la Nuova Pescara, e ha accettato la linea vaticinata dal Pd di Spoltore per convenienze personali. Quali? I voti degli spoltoresi, di certo utili per la sua rielezione a Roma nelle politiche di settembre ’22, e la certezza di poter concorrere, nel 2027, alla carica di primo sindaco di Nuova Pescara. Nel 2027, cioè quando non sarà più deputato e dovrà cercare una nuova collocazione.
Dal convegno si è levata la voce autorevole di Nicola Mattoscio, presidente della Fondazione Pescarabruzzo. “Non sta scritto da nessuna parte che i servizi debbano essere messi insieme prima di fare la Fusione”, ha detto. E’ una sacrosanta verità. Non ci vuole certo l’arte per assemblare, ad esempio, i tre comandi dei vigili urbani e, comunque, la messa in comune di tutti i servizi è un’attività cogente della Nuova Pescara e non la condizione propedeutica alla Fusione stessa. Il primo gennaio 2024, se avessimo in Regione una classe politica all’altezza dei tempi, ci sarebbe la nomina del Commissario (come provocazione abbiamo l’autocandidatura di Mattoscio) e verrebbero avviate le attività necessarie alle elezioni. Da lì, un nuovo sindaco, una nuova giunta comunale e l’inizio di una nuova era che, nel tempo, salderà tutti i servizi. E’ Nuova Pescara che mette insieme e ce lo dice anche la storia o, se preferite, la storiaccia, di questi ultimi anni: se la politica avesse voluto la Fusione, non sarebbe stato necessario un referendum.
Dal convegno, proprio a voler essere inguaribili ottimisti, ci saremmo aspettati qualcosa di diverso da Nazario Pagano e Guerino Testa, rispettivamente deputati di Fi e Fdi. Non si può più ascoltare che “bisogna sì fare la Fusione, ma nel tempo giusto (che sarebbe, in realtà, un sacco di tempo), perché deve essere fatta bene”. E chi ci dà la garanzia che il 2027 sia un anno migliore del 2024? A noi, in realtà, l’anno buono sembrava il 2022, quindi la prima scadenza indicata dalla Legge regionale. Il problema è che Nuova Pescara in molti partiti scatena la reazione del drappo rosso sventagliato a un toro nell’arena. Due sindaci in meno, tanti assessori e consiglieri in meno sono un problema per chi campa di politica. C’è anche la riduzione delle poltrone romane, a causa (o per merito, dipende dai punti di vista) dalla riforma voluta dal M5s e la Provincia è pressoché spogliata dalla rappresentanza politica. E allora? Fermiamo il futuro? A questo punto, torniamo al passato e dividiamo Pescara da Castellamare Adriatico così in quella che noi sentiamo già come Nuova Pescara avremo quattro sindaci e un plotone di assessori e consiglieri.
Non è stato casuale che dal convegno promosso da Confindustria Chieti Pescara le frasi migliori siano arrivate da Daniela Torto e Giulio Cesare Sottanelli, quindi da due non pescaresi e comunque rappresentanti degli unici due partiti che hanno sempre e in maniera compatta lottato per Nuova Pescara. La deputata del M5s, eletta del Chietino, ha rimarcato la “questione culturale a capo dei ritardi” e il deputato rosetano di Azione ha posto l’accento sui tempi: “siamo a nove anni dal referendum e il ritardo è già eccessivo. Il 2027 non è una data proponibile. Siamo contrari a un ulteriore spostamento”.
Lo siamo anche noi. E questa volta lo abbiamo detto anche con una serie di manifesti pubblicati nei tre comuni da unire. La lettura delle date finora mandate al macero dalla cattiva politica e il tragicomico 2027 indicato nella nuova legge, ben leggibili sui manifesti, pone un interrogativo: noi cittadini possiamo permettercelo? Silvano Pagliuca, presidente di Confindustria Chieti Pescara, e Carmine Salce, vice presidente della Camera di commercio di Chieti Pescara, come tutti noi, riteniamo di no. Il sistema economico e produttivo non è mai stato così lontano da gran parte del mondo politico. E pare evidente a chi si debbano addossare le responsabilità. (m.c.)