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La Liberazione di Pescara, 80 anni fa la cacciata di fascisti e nazisti

8 Giugno 2024 da Redazione

Pescara sventrata dalle bombe durante la Seconda guerra mondiale

di Gianni Melilla*

La mattina del 10 giugno 1944 la 7ma Brigata Indiana di fanteria ebbe l’ordine di avanzare verso Pescara e liberarla dalla terribile occupazione tedesca. Alle ore 13, lo squadrone da ricognizione indiano entrò a Pescara sud scortato da un carro armato Honey e con un distaccamento di genieri al seguito. Pescara era completamente deserta e saccheggiata. Il ponte che attraversava il fiume era distrutto così come la maggior parte degli edifici.
Il giorno successivo la 7ma e l’11ma Brigata Indiana di fanteria attraversarono il fiume ed entrarono a Pescara centrale. Il porto e la spiaggia erano minate. L’aeroporto era distrutto così come la stazione e la ferrovia. Nel pomeriggio dell’11 giugno 1944 arrivò il comandante di Corpo d’Armata, Generale C.W. Alfrey.
I giovani soldati delle forze alleate che combattevano in Abruzzo insieme al rinato esercito italiano e alla Brigata Majella, venivano da lontano, erano canadesi, polacchi, inglesi, Indiani e di tanti altri Paesi. Se si visitano i cimiteri di Ortona e del Sangro, ci si rende conto che erano quasi tutti giovani ventenni che hanno sacrificato la loro vita per la nostra libertà. Per questo dobbiamo accostarci al loro ricordo sempre con gratitudine ed ammirazione.
I tedeschi avevano lasciato una Pescara spettrale, duramente provata dagli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. La strategia nazista di fare terra bruciata prima di ritirarsi era stata attuata anche a Pescara e in tutto l’Abruzzo con una spietatezza criminale che trova comprensione solo nella ideologia nazista, disumana e sanguinaria.
Eppure Pescara sino alla fine di agosto del 1943 si era illusa di passare indenne dalle distruzioni e dai lutti che invece coinvolgevano tutta l’Europa e gli altri continenti del mondo. Purtroppo, il risveglio è amaro. Il 31 agosto del 1943 dal mare Adriatico, in una calda domenica estiva, all’ora di pranzo, mentre i pescaresi erano a casa a mangiare, piombano sul cielo di Pescara i bombardieri americani Liberator che scaricano sul centro cittadino, a partire dalla stazione e le zone adiacenti ( da Corso Umberto a Corso Vittorio Emanuele ), centinaia di bombe che distruggono tutto, case e palazzi, strade e stazione uccidendo migliaia di persone civili innocenti e ignare di quanto stava succedendo alle loro vite.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, i pescaresi si illusero nuovamente che la guerra fosse finita, ma si sbagliavano perché gli aerei americani ripartirono dalle basi in Libia per scaricare nuovamente le loro bombe a Pescara il 14, il 17, il 18 e il 20 settembre 1943.
I morti e i feriti non saranno mai definiti con precisione, ma è stata sicuramente la più grave tragedia di tutta la millenaria storia di Pescara dai tempi lontani in cui era Ostia Aterni, cioè il porto di Roma verso la Dalmazia.
Il giornalista Di Russo nel suo libro Pescara e la Guerra traccia un bilancio realistico: il bombardamento del 31 agosto provoca tra i 600 e i 2000 morti, quello del 14 settembre 1500 morti, gli altri 600 morti . In totale tra i 2.700 e i 4.100 morti. Le mine tedesche, soprattutto al Porto e sulle spiagge, provocarono altri 100 morti, alcuni dei quali anche a distanza di anni.
Ai morti devono aggiungersi i feriti molti dei quali mutilati e invalidi per tutta la vita.
A questo tributo poi dobbiamo ricordare i 500 giovani soldati di Pescara morti sui vari fronti della guerra di aggressione fascista e nazista in Russia, in Grecia, nella ex Jugoslavia, in Libia, in Etiopia, in Somalia, in Eritrea, nelle isole greche del Mediterraneo, nei cieli, nei mari, nei deserti e nelle terre europee ed africane.
A queste tragedie umane, vanno sommate le devastazioni, le razzie, i furti, le distruzioni operate dai soldati tedeschi con la complicità dei fascisti, nei lunghi mesi dell’occupazione di una città sfollata e praticamente deserta.
I cinquantamila pescaresi dopo i bombardamenti abbandonarono disordinatamente le loro case cercando un rifugio nei paesi e nelle frazioni collinari e montane dell’ entroterra abruzzese. Si divisero il “pane che non c’era”, spesero i loro risparmi per sopravvivere nel duro autunno e inverno del 1943-44, patirono privazioni e sofferenze indicibili. Erano in gran parte donne, anziani e bambini essendo i maschi adulti dispersi in tutti fronti della guerra.
I danni materiali furono enormi: Pescara, secondo i dati ufficiali, ebbe danneggiato il 78% dei suoi immobili. Solo 1.295 edifici rimasero intatti, mentre 1.295 furono totalmente distrutti, 1.335 gravemente danneggiati, 2.150 parzialmente danneggiati.
Tutte le opere pubbliche e infrastrutture civili furono distrutte, comprese le reti idriche, fognarie, elettriche e telefoniche.
Pescara ha avuto dal presidente Ciampi la Medaglia d’oro al Valor Civile per questa tragedia in segno di rispetto e comprensione delle disumane sofferenze patite dal popolo pescarese.
Il fascismo e il suo regime dittatoriale e razzista portano la responsabilità politica e morale di questi lutti e distruzioni. E mai potrà essere dimenticato la barbarie della dittatura fascista e della sua dissennata scelta di entrare al fianco di Hitler nella Seconda guerra mondiale.
Pescara dopo la Liberazione e la fine della guerra, si è rialzata subito dedicandosi con tutte le sue energie alla ricostruzione e alla rinascita della città con risultati straordinari che testimoniano il coraggio e la forza morale e civile dei suoi cittadini.
Lo stesso coraggio che ebbe l’intero Abruzzo che nel giugno del 1944 veniva dappertutto liberato dagli occupanti tedeschi con un ruolo primario dei Patrioti della Brigata Maiella che combattevano insieme alle truppe alleate. Il 13 giugno del 1944 i patrioti della Brigata Maiella entrano a Sulmona, dopo aver liberato Campo di Giove, Canzano e Pacentro. Nella stessa giornata del 13 giugno liberano Pratola Peligna, Raiano, Prezza, Corfinio, Popoli e Tocco Casauria. Dopo pochi giorni è la volta di L’Aquila e poi Pizzoli, Montereale, Amatrice. La Brigata Maiella devia poi verso la provincia di Ascoli Piceno liberando decine di comuni marchigiani sino alla linea adriatica del fronte, ricongiungendosi con le truppe polacche e britanniche e inseguendo i tedeschi in ritirata verso il nord.
La Brigata Maiella dopo la Liberazione dell’Abruzzo continuò a combattere nelle Marche e in Emilia-Romagna sino ad Asiago insieme alle forze alleate e al rinato esercito italiano. Per questa sua attività la Brigata Maiella è l’unica formazione partigiana italiana decorata con la Medaglia d’oro al Valor Militare.
Erano 1.326 combattenti, in gran parte umili e giovanissimi contadini, operai e studenti: 55 di loro sono caduti, 151 sono rimasti feriti. Il loro eroismo è testimoniato da 182 decorazioni, tra medaglie d’oro, d’argento e di bronzo al Valor Militare, e croci di guerra.
Sono passati 80 anni dalla Liberazione di Pescara e dell’Abruzzo e il ricordo resta ancora vivo. E questo ricordo ci aiuta a testimoniare ancora oggi il valore costituzionale del ripudio della guerra e l’affermazione permanente dei valori della libertà, della democrazia e della pace.

*Segretario Fondazione Brigata Maiella

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