di Nicola Maiale*
Nelle ultime settimane gli abruzzesi, alle prese con le festività natalizie, hanno seguito – non senza qualche apprensione, immagino – il dibattito innescato da alcuni municipalisti resistenti contro l’avanzare – lento, lentissimo – della fusione tra le amministrazioni comunali di Spoltore, Pescara e Montesilvano. Le osservazioni dei resistenti, amplificate legittimamente dalla stampa locale online e non, trovano sempre fondamento nelle ragioni di bilancio e in quelle dell’abbandono relazionale a cui sarebbero sottoposte le interfacce amministrative di Spoltore e Montesilvano, come se l’agire collettivo nella dimensione pubblica fosse perimetrabile solo nella difesa dei propri conti a posto o nella sicurezza di avere interlocutori dai volti conosciuti e quindi rassicuranti negli uffici dell’amministrazione.
I processi di fusione delle amministrazioni comunali trovano fondamento, con una qualche accelerazione nel corso dell’ultimo decennio, nel processo di ripensamento del territorio a fronte dalla crisi indotta dallo spopolamento delle aree interne e montane; un processo – quindi – teso a salvaguardare i tratti di autonomia delle comunità locali, autonomia, in questo caso, intesa non come l’autonoma capacità di tirare fuori fasce tricolori nei giorni di festa nazionale bensì come capacità di costruire, quotidianamente e compiutamente, l’agire amministrativo nell’interesse di quanti in quelle aree restano a vivere con non poche difficoltà.
Un processo che, in Italia, ha trovato strada – anche grazie al sedimento nei processi legislativi di culture politiche municipaliste come quella cattolico-popolare e quella socialista-democratica, protagoniste della cosiddetta Prima Repubblica – nel gradualismo e nella partecipazione della cittadinanza scongiurando le razionalizzazioni amministrative imposte dall’alto sperimentate nella vicina Grecia, prima con il Programma Capodistria e dopo la devastante crisi economica del 2010 del Programma Callicrate.
Non è questo, però, il caso del processo di fusione dei comuni di Montesilvano, Spoltore e Pescara. L’ambizione, nel caso specifico, non è quella di tenere insieme la superfice territoriale ottimale per garantire forza all’autonomia dei processi amministrativi e non essendo questa l’ambizione è necessario fare un salto in avanti nella discussione.
Può essere l’idea di semplificazione amministrativa la sola ambizione di un processo di fusione che dovrebbe tenere insieme la prima, la terza e la quindicesima – in termini di popolazione – città d’Abruzzo? Può essere la scappatoia alle azioni dei decostruttori il non poter gettare a mare il lavoro fatto finora?
Dice bene Silvano Pagliuca, presidente di Confindustria Abruzzo Medio Adriatico, quando afferma che la nascita di Nuova Pescara rappresenta una passaggio strategico per tutto l’Abruzzo.
La nascita di Pescara, nel 1927, generò la piazza affari della rinascita abruzzese del secondo dopoguerra, il capoluogo di provincia più giovane e più segnato dagli effetti del conflitto mondiale divenne nel giro di due decenni, anche grazie al lavoro di sindaci di diversa estrazione politica come Giovannucci, Chiola e Mancini, il punto di approdo di quanti in Abruzzo e non solo fuggivano da miserie secolari alla ricerca di un’opportunità nuova, una città frontiera, insomma, da raggiungere per andare avanti.
L’area sottoposta al processo di fusione è un’opportunità nell’ottica di una maggiore forza attrattiva a livello regionale, nazionale e internazionale con il corollario di maggiori opportunità di investimento, di avere nuovi posti di lavoro e in grado di competere senza antagonisti nel centro Italia per l’attrattività di finanziamenti pubblici e privati, aziende e risorse turistiche.
È nell’ambizione più vasta del processo fusionistico la soluzione alla necessità di garantire la giusta rappresentanza di tutte le comunità coinvolte, la gestione della transizione e l’armonizzazione dei diversi sistemi amministrativi. Tuttavia, queste sfide possono essere superate con una pianificazione attenta, un dialogo aperto e la volontà di costruire un futuro migliore per il territorio.
In questa ottica, oggi, è necessario che i costruttori scompaginino – sul tema – i tradizionali confini delle coalizioni elettorali in favore della frontiera della città nuova, così come pure hanno fatto i decostruttori nelle ultime settimane, incontrandosi al di fuori di Palazzo di Città, magari oltre la ferrovia, nelle periferie delle nostre comunità per capire come dare gambe ad un cammino tanto ambizioso quanto a rischio di un brusco stop dettato solo dal presidio del metro quadro del proprio consenso (più che dal campanilismo) di alcuni protagonisti della vita politica nostrana.
Un Politecnico della Città nuova nel quale mettere dentro riflessioni, associazioni, saperi e capacità al servizio di una nascita utile al ridisegno complessivo dell’Abruzzo in un mondo le cui economie accelerano vorticosamente.
*Ex segretario provinciale di Pescara del Pd