Se n’è parlato pochissimo, ma la pasticciata web tax del Governo Meloni – 3% sul fatturato – è una mazzata al pluralismo dell’informazione. Se n’è accorta la Fieg (Federazione italiana editori giornali), che ha emesso un duro comunicato. “Gli editori della Fieg esprimono stupore e amarezza per la norma del disegno di legge di Bilancio che estende l’imposta sui servizi digitali a tutte le imprese che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali, rimuovendo le attuali soglie che escludono dall’imposta le imprese con meno di 750 milioni di fatturato globale e con ricavi derivanti da servizi digitali in Italia inferiori a 5,5 milioni”, ha dichiarato nella nota Andrea Riffeser, presidente degli editori. Colpendo i ricavi, la tassa meloniana metterà ko molte testate. Un esempio: se un’azienda fattura 10 milioni ma chiude l’esercizio in perdita, deve comunque pagare 300 mila euro di tasse.
“La web-tax è stata concepita per i grandi operatori del web, anche per eliminare la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo delle imprese nazionali nei confronti dei soggetti globali operanti nel web”, prosegue il comunicato della Federazione. “Però, con l’estensione della platea dei contribuenti l’epilogo della web-tax è paradossale: si colpiscono tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole a una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del web. Gli editori della Fieg auspicano un intervento correttivo del Parlamento che eviti la beffa di una nuova tassazione sulle imprese italiane del settore, le stesse imprese che si intendeva tutelare e salvaguardare”. In sostanza, così è una Legge contro il pluralismo dell’informazione perché mette in ginocchio i piccoli editori che sono un presidio di libertà.