Orietta Berti è la testimonial della campagna di comunicazione ministeriale Più che un posto fisso, un posto figo
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, guidato dal Ministro Paolo Zangrillo, ha presentato la nuova campagna di comunicazione istituzionale dal titolo Più che un posto fisso, un posto figo. Lo scopo è attrarre nuovi talenti. Sui social, i primi commenti sono stati delle autentiche stroncature. Tra i tanti, ne riportiamo tre integralmente. Monja Cesari: Drammaticamente imbarazzante. Firmato Un’ “architetta” del Comune di Roma. Valentina Bordenca: Spero stiano scherzando. Non abbiamo bisogno di posti di lavoro fighi ma posti di lavoro che ti permettano di vivere dignitosamente, di essere rispettati dalla collettività, con CCNL rinnovati nei tempi, adeguati in aumento non solo di carico di lavoro ma economicamente, possibilità di avvicinarsi alla propria famiglia ovunque essa sia in tempi non biblici, anche dando la possibilità di passare da un’amministrazione ad un’altra. Roberta Issor: Mi dissocio da questa immagine falsa e lontana anni luce dall’attuale situazione dei pubblici uffici in Italia – la scuola e i lavoratori delle segreterie scolastiche sono al collasso da anni – manca formazione, affiancamento e personale. Chi con tanta fatica ha vinto i concorsi in passato, oggi fugge/ sta pensando di fuggire dalla PA proprio per questi motivi. Quindi non raccontate la storiella del posto figo che non ci crede nessuno…il passaparola, si sa, è più convincente di una campagna social. Parola di un’impiegata della PA
Torniamo allo spot. Protagonista è Lucia, una giovane architetta comunale che ci porta con sé a lavoro, raccontando la sua giornata in un video modalità selfie, girando tra gli uffici e muovendosi tra colleghe e colleghi coetanei e sorridenti, incontrando infine in videochiamata la testimonial vip, Orietta Berti, che le chiede come va con l’impiego sicuro nella Pubblica amministrazione. “Più che un posto fisso, un posto figo!” è la risposta di Lucia prima del codino finale che incoraggia a visitare https://www.inpa.gov.it/, il portale di reclutamento del pubblico impiego.
Il video https://youtu.be/f7LHRQseO5I è pensato per raggiungere soprattutto giovani e quindi destinato alla circolazione online su YouTube, ma sarà trasmesso anche sui canali Rai dal 15 settembre. Scopo dichiarato delle campagna, voluta dal ministro della Funzione pubblica e dal dipartimento per l’Informazione e l’editoria, è quello di attrarre nuovi talenti in un settore che ha perso rapidamente il suo fascino ed è diventato, anzi, oggetto di stereotipi che si vogliono scardinare.
Sarà sufficiente un video, questo video, per abbattere pregiudizi consolidati sul posto fisso? “No” è la risposta che arriva netta dai primi commenti apparsi ieri sui social media, appena dopo la conferenza stampa di presentazione: il contenuto è artefatto, non arriva al target, non va a incidere sui veri punti critici che allontanano i giovani talenti dalla carriera pubblica.
Secondo il report sul Lavoro pubblico 2023, pubblicato a maggio da FPA Data Insight, il Centro studi sull’innovazione nella Pa, i vulnus sono due: stipendi che non crescono e risultano non competitivi rispetto al privato; ridotte prospettive di crescita professionale, con una formazione che non decolla, anzi la spesa destinata all’aggiornamento dei dipendenti è stata dimezzata tra il 2008 e il 2021.
A questi elementi va aggiunta la pandemia e come questa ha modificato l’atteggiamento verso il lavoro, introducendo nuove richieste: il bilanciamento con la vita privata, la qualità dell’impiego, maggiori benefit. Nel nuovo contesto, la sicurezza dell’impiego non è più la priorità.
Il risultato è che oggi ai concorsi si presenta un quinto dei candidati rispetto al biennio precedente (40 anziché 200). In media, due candidati su dieci non accettano l’assunzione, con picchi di uno su due per i contratti a tempo determinato. Il 26% circa delle persone ha vinto più di un concorso e si è innescata, così, una competizione tra gli enti che cercano di accaparrarsi le professionalità migliori. Qui sta il punto della questione: una Pa meno attrattiva rischia di non incamerare competenze, non riuscendo più a garantire nel futuro efficienza adeguata e livelli di prestazione di alto profilo.
Entro il 2033 andrà in pensione oltre un milione di dipendenti pubblici e lo Stato dovrà assumere un numero ingente di persone per far fronte alle sostituzioni e garantire il funzionamento dell’amministrazione, ma a quale bacino attingerà? Lo scenario è che medici, architetti, ingegneri, addetti stampa più qualificati andranno a lavorare nel settore privato e la cosa pubblica diventerà la scelta di ripiego per molti. Questa situazione è visibile già oggi: l’età media di entrata nell’impiego pubblico è passata in vent’anni, dal 2001 al 2021, da 29,3 anni a 34,3 anni. Anche il sistema pensionistico è barcollante: poche assunzioni, a fronte di un inarrestabile flusso di pensionamenti rischiano di rallentare le entrate contributive e ampliare il disavanzo dei fondi dei dipendenti pubblici. Secondo l’INPS, nel 2023 avremo circa 94,8 pensioni erogate ogni 100 contribuenti attivi. Erano 73 nel 2002.
Lo Stato deve apprendere il mestiere di datore di lavoro, imparare in fretta le più efficaci tecniche di recruiting e di gestione delle risorse umane, per evitare l’emorragia di competenze e il progressivo svilimento dell’apparato pubblico, che impatterà sulla sua reputazione, sulla credibilità e sulla qualità dei servizi erogati. Basterà questo spot a sedurre cervelli alla ricerca di gratificazioni professionali, stipendi congrui e soddisfazioni personali?
Michela Di Michele
