Massimiliano Pincione ha legato il proprio nome a una delle fasi più travagliate del calcio pescarese
Calcio e problemi vanno sempre mano nella mano. Ne sa qualcosa Massimiliano Pincione, italoamericano di Cugnoli (Pescara), che da un paio di anni è di stanza a Lanciano, per la verità senza alcuna gloria sportiva, ma è inseguito dai problemi economici scaturiti dell’avventura, per meglio dire disavventura, alla guida del Pescara. (Dis)avventura conclusa con una condanna, passata in giudicato, per bancarotta fraudolenta. Correva l’anno 2007 quando Pincione si è gettato anima e corpo nel club biancazzurro. Per raccontare l’intera storia, che va da Renzetti a Soglia passando per un principe arabo e il fallimento del Pescara, servirebbe un libro così grande da far uscire un’ernia al solo tentativo di alzarlo.
Semplificando e compattando il tutto, ecco che Pincione, dopo aver acquistato le quote dei suoi numerosi ex soci ed essere diventato padrone unico del sodalizio, ha deciso di chiamarli in causa, insieme ai notai e all’allora Banca Caripe, per riavere quanto investito, accusandoli di presunte irregolarità negli atti di acquisto delle quote societarie. Pincione ha perso in tutti i gradi di giudizio ed è stato condannato a risarcire le parti delle spese sostenute. Risarcimento mai onorato. E per questo uno dei soci, D.G., assistito dall’avvocato del foro di Pescara Giancarlo Bigi, gli ha fatto recapitare a Lanciano un pignoramento di circa 30mila euro. Se ogni persona che è stata chiamata in causa da Pincione seguisse le orme di D.G., l’esborso sarebbe di circa 400mila euro.