A prescindere dal proprio credo religioso perché far trascorrere invano una festa come la Pasqua . L’opportunità per una riflessione profonda e coinvolgente ce la offre padre Domenico Paoletti, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali. Un frate teologo nato a Feudo Alto, nel Teramano, già preside della Facoltà teologica San Bonaventura di Roma e vicario del Custode del Sacro Convento di Assisi. Per i tipi della Cittadella editrice fresco di stampa il volume Corporeità eterna con la prefazione di Pierangelo Sequeri.
Nella nostra società che sempre di più è attenta alla cura del corpo ci chiediamo quale sia la vera cura e può interessarci che fine farà questo corpo tanto curato e scolpito…. prima o poi?
L’autore invita a riflettere sul fatto che tra gli indicatori per la qualità della vita “non trovi mai la speranza nell’eternità, in una vita dopo la morte”. In effetti, la qualità della vita misurata dall’Ocse definisce sei aree : Ricchezza e consumi, Lavoro e innovazione, Ambiente e servizi, Demografia e società. Giustizia e sicurezza , Cultura e Tempo Libero , ma la trascendenza non è in agenda.
Padre Domenico ritiene a ragione che “la cultura secolarizzata e curva sull’immanenza cerca la qualità della vita, ma non si rende conto” che essa “è legata alla qualità della propria speranza”.
L’autore sottolinea che “solo una minoranza dei cristiani crede nella resurrezione della carne e la fede cristiana convive con la secolarizzazione“ dando vita ad un credere prevalentemente etico”. Ed è questo lo snodo cruciale anche del futuro della chiesa e della sua capacità di evangelizzare e di annunciare ed essere ascoltata. “E questo forse il caso serio” della fede cristiana .
Interrogarsi sulle realtà ultime appartiene a “quel cantiere per lungo tempo silente e rimosso dalla cultura odierna prevalentemente tecnologica e scientifica”, ma secondo Paoletti da tornare a praticare anche in questa fase post pandemica e segnata da guerre vicine e lontane.
E’ coinvolgente chiedersi che sarà di noi e del nostro corpo e farci accompagnare dalla profondità di padre Domenico per acquisire la consapevolezza che “l’uomo non solo ha e fa domande, ma è domanda”.
Il volume nella prima parte affronta la centralità della corporeità nell’evento Gesù Cristo. Ma è la seconda parte che scuote, fa riflettere, apre orizzonti, richiama dubbi, non fornisce certo risposte, ma regala ampie boccate di ossigeno spirituale che sprigionano dalla categoria concettuale della trasformazione.
L’autore propone una terza via a quelle del “materialismo e dello spiritualismo che appaiono senza uscita la via del realismo spirituale”.
Sulla scia degli inviti di papa Benedetto XVI ad “allargare i confini della razionalità” nella consapevolezza che, purtroppo, “la fede si trova ad essere sottoposta più che nel passato a interrogativi derivanti da una mentalità che riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche”.
Nella consapevolezza che è difficile “riconoscere i segni dell’eternità per una cultura poco predisposta nei confronti del Trascendente, quindi dell’apertura alla fede”.
L’indiscutibile difficoltà che la Chiesa incontra nell’Annuncio quotidiano dai pulpiti delle cattedrali o delle parrocchie di periferia è la conseguenza di “una specie di sordità e anaffetività dell’uomo occidentale contemporaneo nei confronti della fede“.
Ed ecco che per padre Domenico è doveroso il richiamo a Papa Paolo VI, al quale l’autore ha dedicato uno splendido lavoro edito nel 2018 dal titolo Paolo VI testimone dell’amore . Attualità e profezia, per sottolineare come “solo il vero e autentico testimone ha la capacità di risvegliare dall’indifferenza , di farsi ascoltare e di illuminare”.
E su questo crinale sacerdoti, vescovi, e perché no uomini di governo e politici in genere dovrebbero porsi domande e darsi risposte prima di aspirare o addirittura di pretenderle di darle a coloro che li ascoltano.
Ma ecco che il concetto di “trasformazione” squarcia un orizzonte nuovo sulla corporeità eterna . L’autore ammette che la sua opera “non scioglie il nodo della risurrezione del corpo e delle sue modalità”, ma “trova barlumi di luce nella realtà dell’amore : l’eternità del corpo che ama”. Si profila un argomentare che può lasciare indifferente, può stimolare ulteriori interrogativi e questioni aperte alle quali l’autore dedica l’ultimo capitolo, ma può anche suscitare brividi di spiritualità materiale .
Perché se “l’amore è la cifra del corpo “ e “l’eternità è l’essenza e la verità dell’amore…. all’amore eterno corrisponde un corpo eterno perché si ama con il corpo e mai senza di esso”. Tutto il lavoro è pervaso dalla domanda sul senso della vita e di questi tempi farsela, condividerla, proporla, farsene compagna è quanto mai propizio per vivere meglio ogni istante della propria vita.
Ernesto Grippo