di Raffaele Morelli*
Diciamolo subito: la felicità non esiste. Se esistesse potremmo sperimentarla e, invece, nessuno l’ha mai sperimentata. Ma se quella volta che la ragazza più bella del mondo ha confessato con lo sguardo angelico di essere innamorata di me mi è sembrato di volare tra le nuvole e toccare il cielo con un dito!? Non ero felice, ero più che felice. Spiace deludere l’innamorato in deliquio, ma non possiamo scambiare la soddisfazione di un bisogno con la felicità. La felicità è una forma di atarassia. Dante Alighieri la descrive nel Paradiso come una immota beatitudine che si sostanzia nella contemplazione di Dio.
Se siamo d’accordo con lui e io sarei portato a confermare, siamo molto lontani dalle possibilità offerte agli esseri umani. Mi astengo dalla sequela di altri esempi che potrei citare per spiegare che la soddisfazione e la felicità non sono sinonimi. Dunque, la felicità del mondo altro non è che un feticcio che qualche divinità burlona ha disegnato per l’uomo con l’unico scopo di prendersene gioco. Dovrei forse smettere di scrivere, visto che ho iniziato dalla fine? Ha senso continuare questo excursus visto che il nostro obiettivo è miseramente perduto prima ancora di iniziare?
Magari qualcuno immaginava una lunga tiritera di concetti astratti in seguito ai quali sarei stato in grado di affermare, con un relativo grado di precisione, che sì, la felicità esiste, è alla portata di tutti, basta fare… seguiva un decalogo di esercizi del corpo e
dell’anima come nelle pubblicità dei nutrizionisti e degli psicologi. Il che avrebbe comportato delle oggettive difficoltà: perché, se la felicità esistesse, dovrebbe poter essere raggiunta almeno da qualcuno. Ma se così fosse, gli altri, quelli esclusi, avrebbero il diritto di essere contrariati e magari pensare di vendicarsi nei confronti dei pochi fortunati che ci stanno dentro una cifra?
Cosa si intende oggi per felicità?
La felicità non esiste e questa è, davvero, la grande notizia! Tocca scomodare qualche filosofo per dare senso a quello che vogliamo intendere. Ma prima giochiamo a capirci. Cosa si intende oggi per felicità? Cioè, se chiediamo alla gente per la strada di darci una definizione di “felicità”, cosa risponderebbe? Scrivo una definizione usata in psicologia: “Insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto che procurano benessere e gioia in un momento più o meno lungo della nostra vita”.
A metterla così sembrerebbe che la felicità corrisponda alla soddisfazione. Ho fame,
mi alimento, sono felice. Ho sete, bevo, sono felice. Per il neonato funziona esattamente così. Possiamo affermare che la soddisfazione dei bisogni del corpo e dell’anima corrisponda alla felicità? Voglio tanti soldi, trovo tanti soldi, sono felice? Alzi la mano chi ci crede davvero. Aristotele pensava che “la felicità perfetta consiste nell’attività teoretica, che è il modo di vivere secondo l’intelletto: un modo di vivere che è il più alto, ma che non supera le possibilità dell’uomo, anzi gli è, a tutti gli effetti proprio”. Non esattamente un ragionamento democratico.
Gli intelletti sono tutti diversi tra loro e dunque anche le felicità sarebbero tutte diverse tra loro, ognuna a misura dell’intelletto che la produce certo, ma in misura completamente diversa a tutto svantaggio degli intelletti asfittici. Socrate, Platone, Epicuro, tutte definizioni rispettabili ma nessuna che rivelasse una reale probabilità di incontrare la felicità sulla terra. Al massimo un decalogo di buoni comportamenti che certo aiutano a sviluppare la misura nelle cose che consente una vita proficua e sana.
Nessuno l’ha mai sperimentata
Ma la felicità non dovrebbe essere ad un livello superiore? Come potete dedurre nonostante l’estrema saggezza dei filosofi la felicità non l’ha, davvero sperimentata nessuno. Molti hanno sperimentato la soddisfazione però. Qual è dunque il consiglio che mi sento di offrire alla fine di questo breve excursus? Scordatevi della felicità, attaccatevi come cozze alla ricerca della soddisfazione dell’animo, non quella belluina dei cinque sensi, l’altra, quella che corrisponde al luogo, nel vostro corpo, in cui, più o meno, si dovrebbe trovare il centro degli affetti. È molto più democratico in questo modo. La felicità non esiste, la soddisfazione sì! Che senso ha non arrivare mai da nessuna parte se è possibile infine trovare una dimensione che ci consente di sperimentarne almeno una parvenza? Vi lascio, non per caso, con una domanda!
*medico e romanziere pescarese, ha da poco pubblicato ‘Voglio tornare al topless bar’ (casa editrice All Around).