Per il Mese dell’Affido e dell’accoglienza, Pescara ha ospitato lo spettacolo di e con Silvia Frasson La migliore versione di me al teatro di via Cavour. È un inno alle maternità questo spettacolo. È un inno alle paure, alle rabbie, alle tante declinazioni della parola amore che le mamme e i figli sanno esprimere. Le mamme, ancora prima dei genitori, perché ad emergere è il loro altalenare emotivo, la capacità tutta femminile di portare alla luce l’andamento ondivago dei pensieri, del processo che porta a scelte che diventano decisioni, consapevolezze non più soggette a cambiamenti.
La migliore versione di me è uno spettacolo che parla di affidi familiari. Sul palco scorrono storie diverse, mettendo in luce i presupposti – sempre impegnativi; gli andamenti – più o meno semplici; gli esiti – inattesi, sempre. Si danno il cambio sulla scena i protagonisti dell’affido: assistenti sociali che prendono in carico le segnalazioni di situazioni critiche, le famiglie affidatarie, con il loro percorso di preparazione, le bambine e i bambini. I piccoli declinano con toni e gestualità infantili un solo concetto: “Voglio bene a mamma e papà”. Proprio quelli loro, biologici, che li lasciano vivere in case lastricate di sporcizia, esposti alle violenze o li convincono a fare il gioco-del-non-esisto, passando ore sotto il letto per non infastidire le nuove precarie vite che si stanno costruendo. Incredibile, eh?

Incredibile anche come famiglie senza le stesse preoccupazioni, aprano le porte della loro casa, facendo entrare il portato di queste storie e tutto ciò che ne consegue: i comportamenti ribelli, le opposizioni incessanti, le parole dure di chi non ti vede come la madre vera, il padre vero. E poi c’è il contesto sociale, che non si prende carico delle situazioni, ma le giudica.
Eppure, tutto ciò accade. Eppure, poi l’affetto si fa strada tra chi ha il coraggio di amare e di farsi amare. Questo spettacolo – dicevamo – è un inno alle maternità, all’essere figli, ma è soprattutto un elogio del nonostante. Delle persone che sanno ancora trovare spazio per il bene, nonostante i dispiaceri, nonostante i commenti, nonostante i calcoli, nonostante gli stereotipi. E il concetto di famiglia tradizionale, quanto fa ridere quando esci da questo spettacolo. Quanto ti appare svuotato di senso.
Silvia Frasson, attrice e scrittrice del testo teatrale, ha fatto un lavoro giornalistico, raccogliendo le testimonianze delle persone che vivono l’affido sulla loro pelle, come operatori, come famiglie, come figli. Ha aperto anche lei le porte, a un ascolto senza filtri di storie che graffiano la pelle. E i graffi li ha restituiti. Tutti, proprio. La combinazione di voci che si avvicendano costringe lo spettatore a lasciarsi rimbalzare su estremi emotivi in rapida successione e lo catapultano su un tavolo da biliardo, dove non è più nemmeno giocatore. Diventa la pallina. In balia di scelte altrui che imprimono una spinta forte alla propria traiettoria. Così è la vita di chi si trova a giocare la partita dell’affido familiare. Non importa in quale ruolo, la sorte è la stessa e sai che tutto è instabile e può cambiare all’improvviso. Eppure, ne vale la pena, nonostante tutto.
A rafforzare la dicotomia lacerante di un amore che spinge in direzioni opposte, c’è un disegno luci – a firma di Carolina Agostini – asciutto e dai contrasti forti che si fa apprezzare come co-protagonista.
La migliore versione di me di è stato realizzato in collaborazione con Dalla Parte dei Bambini ODV– Associazione per la promozione dell’affidamento e dell’adozione ed è stato portato in scena a Pescara, al teatro Cavour il 17 ottobre, nell’ambito degli eventi per il Mese dell’Affido e dell’Accoglienza 2025 promossi dal Comune di Pescara, Assessorato alle Politiche Sociali e della Famiglia. Abito di scena Dina Verdi, disegno luci Carolina Agostini, grafica locandina Gea Testi, foto di scena Federica Gambacciani, video Francesco Ritondale.
Michela Di Michele
