Egregio direttore, le chiedo ospitalità per poter offrire un contributo sull’interessante dibattito avviato dall’onorevole Melilla sul tema del limite dei mandati per sindaci e presidenti di Regione, anche in virtù del ruolo di ‘vittima’ poiché nel 2023, prima dell’ultima modifica all’art. 51 del TUEL, mi sono trovato nella condizione di incandidabile al ruolo di sindaco di Pianella (8.600 abitanti) che ho ricoperto dal 2013 al 2023.
Tuttavia, al di là del pregiudizio personale, ho voluto approfondire le ragioni politico-amministrative che presiedono a tale scelta del legislatore, finendo per convincermi della correlazione necessaria tra elezione diretta da parte del corpo elettorale nel ruolo gestionale-esecutivo e limite dei mandati ricoperti (due o tre che siano). Difatti, come ha ribadito recentemente la Corte Costituzionale il 10 dicembre 2024, chiamata a pronunciarsi sulla eventuale “irragionevolezza” della diversificazione del limite di mandati tra situazioni analoghe (sindaci soggetti a diverse limitazioni in base al numero di abitanti), non è arbitraria la individuazione di situazioni differenziate cui parametrare il numero di mandati consecutivi possibili, poiché quel che conta è il rispetto del principio cardine: “ la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi – in stretta connessione con l’elezione diretta dell’organo di vertice dell’ente locale, a cui fa da ponderato contraltare – riflette […] una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali”.
L’argomentazione in ordine alla assenza di tali limiti in altri Paesi non è sempre esatta e, comunque, non tiene evidentemente conto che è solo nei sistemi elettorali che prevedono la scelta diretta da parte del corpo elettorale dell’organo esecutivo che si impone il contrappeso del limite dei mandati, tant’è vero che, all’esito di un vivace dibattito, anche nella riforma del cosiddetto premierato o, più emblematicamente del sindaco d’Italia, si è dovuto alla fine inserire il limite dei due mandati nel testo licenziato a giugno scorso dal Senato.
E’ la perniciosa e, a volte, istintiva e involontaria tendenza dei detentori del potere esecutivo di perpetuare nella posizioni di governo che può portare a degenerazioni di vario tipo che vanno da quelle estreme della eliminazione fisica dei potenziali avversari (Alexey Navalny) a quelle, meno cruente, ma nondimeno efficaci, del sistematico orientamento delle scelte gestionali e amministrative alla captazione del consenso su base clientelare, generatore di danni collettivi enormi sul medio-lungo periodo.
Quella della limitazione dei mandati è una garanzia minima di tutela dei principi democratici, poiché il grado effettivo di democraticità di un sistema istituzionale deve essere valutato anche sulla base di una serie di altri indicatori, primo fra tutti l’esistenza, quale organo dotato di funzioni di controllo ed indirizzo sul potere esecutivo, di assemblee rappresentative del tutto autonome ed indipendenti dall’organo esecutivo e dotate di contropoteri effettivi.
Tale distinzione si rivela fondamentale soprattutto nei sistemi di elezione diretta dell’esecutivo, poiché il potere rappresentativo viene unilateralmente dal consenso e non deve conoscere limiti, mentre il potere esecutivo, quando deriva direttamente dall’elettore e non è mediato da un altro organo rappresentativo, come nel caso dei sindaci, è esso stesso potenziale generatore di consenso in corto-circuito e, pertanto, deve fisiologicamente conoscere un limite temporale.
Nell’ordinamento italiano si è, inoltre, deciso di sacrificare, di diritto e di fatto, gran parte delle funzioni delle assemblee elettive (consiglio comunale, consiglio regionale, parlamento) sull’altare della stabilità, tanto che, soprattutto negli enti di maggiore prossimità al cittadino, non solo i consiglieri comunali sono legati indissolubilmente alle sorti politiche del sindaco: se, per qualsiasi ragione il sindaco viene meno, si scioglie l’intero consiglio, spesso assolutamente incolpevole, con buona pace del popolo sovrano, ma nei comuni con più di 15.000 abitanti si è introdotta l’incompatibilità tra la carica di assessore e quella di consigliere, per cui l’eletto in consiglio che viene chiamato al ruolo gestionale (revocabile ad nutum dal sindaco nominante), spesso proprio perché beneficiario di ampio consenso, se non dovesse risultare più nelle grazie del primo cittadino, perde anche il ruolo di rappresentanza che però gli avevano concesso gli elettori e non il sindaco.
Se per la Regione Abruzzo dalla scorsa legislatura, diversamente da quanto accade nei comuni con più di 15.000 abitanti, si è opportunamente introdotta quale minimo correttivo la surroga revocabile del consigliere regionale chiamato temporaneamente al ruolo di assessore (applicata nel caso di Mauro Febbo che, una volta sfiduciato dal presidente, è tornato in aula al posto del surrogante), anche per i parlamentari si prospetta un futuro sempre più legato alla longevità politica del premier eletto poiché non sarà più possibile sfiduciare il presidente del Consiglio senza che le camere si sciolgano.
In un tale contesto, dove lo stesso ruolo di contrappeso democratico delle assemblee di riferimento è di fatto marginalizzato, poiché l’eletto (persino di minoranza) si vede costretto a mettere costantemente sulla bilancia l’esercizio più o meno rigoroso del potere di controllo con la propria sopravvivenza nel ruolo, appare davvero aliena da ogni consapevolezza del funzionamento dei sistemi democratici qualsiasi ipotesi che vada verso l’incremento, o addirittura verso la rimozione totale, del limite dei mandati consecutivi alle figure esecutive monocratiche elette direttamente.
La condivisibile necessità di non disperdere le competenze e le esperienze maturate, lungi dal poter e dover trovare tutela nella pericolosa costante permanenza delle stesse persone nei medesimi ruoli esecutivi ad elezione diretta, dovrebbe essere tutelata dai partiti mediante meccanismi di progressione e rotazione dei propri iscritti o simpatizzanti nei vari ruoli istituzionali contendibili, mentre ormai gli stessi sono completamente riluttanti alla funzione propria di formazione e selezione della classe dirigente ed ossessivamente focalizzati alla fidelizzazione e propaganda di adepti, meglio se privi di iniziativa e senso critico.
Tuttavia non è il caso di fare voli pindarici nella prospettiva della Nuova Pescara poiché il Ministero dell’Interno si è già espresso in passato con parere sull’inapplicabilità della norma sul limite dei mandati alla prima elezione di un ente nato dalla fusione di più comuni, considerandolo a tutti gli effetti una entità giuridica nuova.
Sandro Marinelli, già sindaco di Pianella