di Riccardo Varveri*
Quando, il 20 febbraio 2023, con ragazzi e ragazze giovanissimi andavamo a depositare il testo della Legge regionale sul suicidio assistito, probabilmente non sapevamo che stavamo facendo la storia della nostra regione: la prima raccolta firme per una legge d’iniziativa popolare su scala regionale, nel nostro Abruzzo. A farlo, non i grandi partiti, ma un gruppo di cittadini che due anni prima si era mobilitato per raccogliere le firme per il referendum eutanasia, referendum brutalmente bocciato dalla Corte costituzionale. In molti, così come nella mia testa, balenava lo stesso pensiero: questo Paese, in termini di libertà civili, è irriformabile. Eppure, gli spazi che la democrazia ci offre per incidere sono infiniti, sebbene tentino di ostacolarceli. In questo breve excursus c’è tutto: i cittadini, le libertà civili, i partiti e la democrazia, in un rapporto che si intreccia in maniera compulsiva, se non convulsiva. Ma procediamo per gradi.
Due anni fa, la mobilitazione per il referendum Eutanasia promosso dall’Associazione Luca Coscioni aveva raggiunto numeri stratosferici: 1.239.452 firme per chiedere al Parlamento una regolamentazione del fine vita che conciliasse volontà individuali, gestione del potere e libertà. Questo referendum poteva essere ciò che negli anni ’70 rappresentò il divorzio: un balzo in avanti epocale, bloccato soltanto dal parere della Corte costituzionale. La stessa Corte che, prima della sent. 242/2019 sul caso Dj Fabo-Marco Cappato, con cui di fatto legalizzava a determinate condizioni il suicidio assistito, aveva “ordinato” al Parlamento di legiferare. Ma viviamo in tempi in cui il Parlamento e completamente obliterato dal governo, strumentale all’approvazione di decreti calati ab alto e quando il popolo a gran voce richiede un intervento, si auto-sabota.
In questo clima, sarebbe stato lecito per la Corte far passare il referendum in quanto il Parlamento, che non si è fatto vivo successivamente all’Ordinanza (salvo nel periodo di raccolta firme, discutendo una Legge peggiorativa rispetto alla sentenza della Corte stessa), avrebbe potuto legiferare per il vuoto normativo contestato dalla Corte. Infatti, la norma risultante dall’abrogazione può essere modificata in base alla legge 352/1970 che proroga l’effettività della legge stessa per sessanta giorni, in modo da permettere al Parlamento di legiferare circa il vuoto legislativo che un referendum abrogativo giustamente genera. Così si allontanano i cittadini dalla partecipazione.
Eppure, siamo tornati a parlare di suicidio assistito nella nostra regione.Ma perché? La sentenza 242/2019 prescrive quattro requisiti che il paziente deve soddisfare per accedere al suicidio assistito in Italia: sofferenze intollerabili, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, piena consapevolezza e irreversibilità della malattia. Ciò che manca è la tempistica: la legge regionale sul suicidio assistito mira a stabilire tempi certi per esaudire la richiesta del paziente. Il caso di Federico Carboni nelle Marche è emblematico: tetraplegico a causa di un incidente stradale, fece richiesta all’ASUR delle Marche per andarsene senza più soffrire. La sua richiesta fu esaudita due anni dopo (e con il pagamento di 5.000 euro per il dispositivo medico grazie a una raccolta fondi). Il silenzio del Parlamento e il perpetrarsi della sostituzione di una sentenza della Corte come strumento legislativo (quasi fossimo in un sistema di common law) è una violenza di Stato giocata in barba ai numerosi individui che ogni anno, in preda alla disperazione per le sofferenze, fanno richiesta all’Associazione Luca Coscioni. Immaginiamo per un attimo il caso di un malato di SLA che fa richiesta di suicidio assistito. Riceve la risposta due anni dopo, ma le sue condizioni fisiche sono degenerate a tal punto da ricadere nella fattispecie dell’eutanasia, ancora illegale nel nostro Paese. Quale libertà c’è in uno strumento giudiziario, sostituitosi al legislativo, che non garantisce tempi certi a queste persone gravemente malate?
Questa legge regionale, cominciata da una mobilitazione civica, mira a ripulire i peccati di chi dovrebbe rappresentarci e che continua a voltarsi dall’altra parte nelle sedi opportune. Garantire tempi certi a chi ne fa richiesta è civiltà, il resto sola indifferenza. Abbiamo bisogno di 5.000 firme entro la fine di maggio. I tavolini a cui firmare si possono trovare sul sito inabruzzo.liberisubito.it
*Presidente regionale Associazione Radicali, coordinatore regionale Liberi Subito