Se una città si arrovella per più di un anno sul tipo di organizzazione da dare a una strada, possono esserci solo due spiegazioni. La prima: non ha altro a cui pensare. La seconda: non sa pensare ad altro. La prima opzione sarebbe auspicabile, la seconda quantomeno temibile. Viale Guglielmo Marconi, una delle arterie principali di Pescara e dell’area metropolitana, convive con il peccato capitale di essere figlia della speculazione edilizia anni ’60-’70: è uno stradone oppresso dai palazzi, non si apre su una piazza, ,è priva di un parcheggio degno di questo nome, ospita pochi alberi e viene violata da troppe macchine.
Non era facile peggiorare questa situazione. La giunta guidata da Carlo Masci, sicuramente animata dalle migliori intenzioni, ci è riuscita con un intervento radicale forse in anticipo sui tempi, di certo ora inopportuno. Viale Marconi, a seguito della riorganizzazione del sistema di circolazione, ci ricorda che al peggio non c’è mai fine. Il risultato? Sono tutti scontenti e qualcuno è anche, giustamente, incazzato. L’elenco è lungo e, purtroppo, esaustivo: in primis i commercianti, protagonisti di più di una manifestazione di protesta; poi, in ordine sparso, i residenti, gli autisti dei bus, chi vi transita per qualsiasi motivo, gli utenti del servizio pubblico, i pedoni, i ciclisti e i motociclisti.
E allora? Allora è il caso che sindaco e assessori, più che insistere su questa scelta e peggiorare la situazione piazzando qui e là i costosi e, forse, intelligenti semafori, facciano marcia indietro, scelgano una soluzione viaria adatta a un viale che non può ospitare quattro corsie così organizzate senza cancellare i pochi parcheggi a disposizione. Un viale che costringe gli automobilisti a continue violazioni del codice della strada per evitare di rimanere piantati sul posto. Pescara non ha bisogno di semafori cosiddetti intelligenti ma di una politica intelligente per davvero. Quella capace di dire: “Scusate, abbiamo sbagliato tutto”. Può succedere quando si guida una città. (m.c.)