di Marina Dolci*
Nei difficili mesi del Covid, non c’era esponente politico che non mandasse il proprio messaggio di
solidarietà a una delle categorie economiche più colpite, quella della ristorazione. Pescara, città socievole
per costituzione, città dalle mille attività di food and beverage, città che da sempre accoglie un altissimo
numero di persone in cerca di svago e tempo libero per tutti i gusti, è stata particolarmente segnata da quei
mesi così tristi. Gli esercenti ricordano quanto si facesse a gara nel rivendicare l’origine dei provvedimenti
di sostegno alle attività di ristorazione: l’abolizione della tassa di occupazione del suolo pubblico, il
raddoppio degli spazi esterni, la sospensione delle rate Tari, l’installazione dei parklet, persino i ristori
straordinari per la zona rossa decretata dal presidente della Regione Abruzzo.
Ora, superata l’emergenza sanitaria, sembra che agli esercenti si voglia far pagare una qualche colpa, forse
quella di essere sopravvissuti alla pandemia. Nel giro di pochi mesi si sono scatenate nei confronti degli
esercenti misure quasi punitive di cui, razionalmente, non si comprende l’obiettivo.
Innanzitutto il Comune di Pescara ha deciso, senza confrontarsi con nessuno, di non aderire alla possibilità
concessa dal governo Meloni di prorogare il raddoppio dell’occupazione di suolo pubblico, possibilità
pensata a Roma per mitigare lo shock del caro-bollette: una misura non gratuita, bensì a carico degli
esercenti. Ma il Comune di Pescara ha deciso che qui non serve, e che evidentemente non c’è bisogno delle
entrate aggiuntive che l’applicazione della misura avrebbe garantito alle casse comunali.
Poi è arrivata la guerra ai parklet, i piccoli “palchi” sui quali, al posto dei posti auto, sono posizionati i
tavolini. Esistono in tutto il mondo e nelle città più avanzate stanno diventando un modo per evitare guerre
di spazio fra clienti dei pubblici esercizi e passanti. A Pescara, i pochi esistenti sono stati regolarmente
autorizzati dal Comune, ma dopo la loro realizzazione, è stato deciso di cambiare le regole almeno due
volte, chiedendo agli esercenti investimenti corposi in cambio di una scadenza molto ravvicinata, come se
ristoranti e bar avessero spalle così larghe da potersi permettere investimenti al buio. E così, anche questa
opportunità va tramontando.
Ma la guerra politicamente più violenta è quella scatenata contro gli esercenti di piazza Muzii, colpevoli di
aver voluto aprire le proprie attività in una zona riqualificata. Nell’estate successiva al Covid, mentre nel
resto d’Italia si sperava che le attività potessero riprendere a respirare, a Pescara è stata emessa una
sequela di ordinanze di durata settimanale con continui cambi di orario di chiusura, impedendo agli
esercenti persino di programmare i turni di lavoro del personale. E come se non bastasse, è stato approvato
un Piano di risanamento acustico che imporrà agli esercenti addirittura di acquistare un semaforo anti-
rumore (come se, chiuse le saracinesche, fossero sempre gli esercenti i responsabili del vociare delle
persone) ed è stata emessa una determina che riduce radicalmente la possibilità di occupazione di suolo
pubblico e aumenta i costi della burocrazia.
Non sono vicende che interessano solo i pubblici esercizi. Perché Pescara è una città fondata sulla socialità, e la perdita di appeal del segmento food and beverage impoverisce anche le opportunità del commercio tradizionale, perché diminuiscono le motivazioni per scegliere i negozi pescaresi, per frequentare le strade della città in centro ed in periferia, e diminuiscono anche le occasioni per valorizzare la nuova rete museale che enti privati e organizzazioni pubbliche stanno rafforzando.
Certamente la “vecchia” Pescara, quella che sembra voglia invecchiare molto rapidamente, sta lanciando
messaggi molto chiari: fare impresa è quasi una colpa. È anche per questo che vogliamo sperare che la
Nuova Pescara sarà tutta un’altra storia.
*Presidente provinciale Confesercenti