di Raffaele Morelli*
Partiamo da una premessa: nessun essere umano sulla terra dovrebbe mai essere asservito ad un altro essere umano. Lo ripeto per chiarezza estrema: nessun essere umano dovrebbe mai essere asservito ad un altro essere umano. Fatta questa premessa inevitabile cerchiamo di entrare nel cuore del problema. Esiste il patriarcato come sostiene Elena Ceccherini, la sorella di Giulia, rapita e uccisa dall’ex fidanzato Filippo? Sì, esiste. Non serve adesso perdersi nell’esegesi delle parole usate da Elena Ceccherini o da suo padre. Nessuno che abbia un minimo di onestà intellettuale può pensare di sottrarsi alla realtà derapando su territori pericolosi per la logica.
Il delitto d’onore esiste dai tempi di Ammurabi. L’Art. 377 del Codice Zanardelli promulgato nel 1889 ed entrato in vigore nel 1890 cita testualmente: “Per i delitti preveduti nei capi precedenti, se il fatto sia commesso dal conjuge, ovvero da un ascendente, o dal fratello o dalla sorella, sopra la persona del conjuge, della discendente, della sorella o del correo o di entrambi, nell’atto in cui li sorprenda in flagrante adulterio o illegittimo concubito, la pena è ridotta a meno di un sesto, sostituita alla reclusione la detenzione, e detenzione da uno a cinque anni”.
Il Codice Rocco promulgato nel 1930, all’Articolo 587, prevede quanto segue: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”. Nel Codice Zanardelli è meno specifica la responsabilità rispetto al sesso del coniuge fedifrago. In quello Rocco, invece, l’evidenza che il riferimento, per quanto generico sia in realtà rivolto più alla donna che all’uomo risalta chiaramente. Ultima notazione cronologica, i concetti contenuti in questi due articoli sono stati abrogati dalla Legge 442, del 05/08/1981, “Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore”.
Ora non raccontiamoci che dall’agosto del 1981 ad oggi, cioè in 42 anni, l’intero genere maschile si è emendato dalla cultura che questi articoli di legge sottendevano. Ripeto la domanda: il Patriarcato esiste? Sì! L’idea che una donna debba vivere subendo una sorta di controllo da parte dell’uomo esiste? Sì. Vive all’interno dei rapporti interpersonali in ambito famigliare. Ci si sta seduti sopra quando si discute nei salotti. È parte integrante della nostra cultura. E quando affermo che è parte integrante della nostra cultura non mi riferisco all’Italia, ma al genere umano. Ciò che sto scrivendo non è soltanto ciò che penso, ma ha una base antropologica ben nota, per questo cito Freud, con il brano che segue tratto dal libro Il Disagio nella Civiltà: “Nella preistoria, quando l’uomo era simile alle scimmie, aveva preso l’abitudine di formare una famiglia, e verosimilmente i membri che la componevano furono i suoi primi aiutanti. È lecito presumere che la fondazione della famiglia fosse collegata al fatto che il bisogno della soddisfazione genitale non si comportasse più come un ospite che arriva all’improvviso e dopo essersene andato non si fa sentire per lungo tempo, ma come un inquilino che prende dimora stabilmente. Per questo, il maschio fu motivato a tenere presso di sé la femmina, o in generale l’oggetto sessuale; la donna, che non voleva separarsi dai suoi piccoli inermi, doveva, nel loro interesse, rimanere con il maschio, che era più forte. In questa famiglia primitiva manca ancora un tratto essenziale della civiltà: l’arbitrio del padre e capo supremo era illimitato…”. Il legame sessuale tra maschio e femmina, il legame affettivo molto stretto tra madre e pargoli non erano e non dovrebbe esserlo neanche ai giorni nostri, frutto di una sorta di primitiva educazione, ma conseguenza delle regole genetiche che impongono a tutti gli esseri presenti in natura di riprodursi e di conservare la prole.
Tornando al presente, dobbiamo prendere atto del fatto che non tutte le società moderne si sono evolute alla medesima velocità. Infatti, come tutti sanno, in alcuni paesi l’omicidio della fedifraga è una questione sociale, nemmeno familiare. Come tutti sanno, il grado di schiavitù a cui la donna è sottoposta dai secoli dei secoli, dove più, dove meno è molto elevato. L’Occidente, il tanto vituperato Occidente che in questi strani tempi che viviamo genera molte critiche anche tra coloro che ci vivono e beneficiano dell’altissimo livello di civiltà che ha raggiunto, si trova al più alto livello di civilizzazione possibile ad oggi sulla terra, seguito quando da più vicino e quando da più lontano, dal resto del mondo. In Europa, l’Italia non è l’unico Paese in cui le donne vengono uccise da uomini che non riescono ad accettare di non poter gestire un potere assoluto su di loro. Anzi, per quanto riguarda l’Italia, la curva degli omicidi di donne è in lenta ma costante discesa. Basta questo per considerare risolto il problema? No!
Gli omicidi di donne, gli sfregi con l’acido, le botte, i soprusi a danno delle donne devono finire? Le differenziazioni stipendiali ancora in vigore in certi ambiti devono finire? L’assoluta equivalenza tra i sessi deve iniziare al più presto? Sì. Gli uomini hanno un’altissima percentuale di responsabilità senza dubbio. Tra questi, è ovvio, la maggior parte, dotata di intelligenza e sufficiente educazione, ha già compreso che la situazione nei confronti delle donne deve cambiare. Resiste una minoranza di soggetti tardivi che fatica a raggiungere uno standard di civiltà adeguato. Le donne hanno una parte, anche se minima, nella mancata risoluzione di questo
problema? Sì. In cosa consiste questa responsabilità? Questo è un argomento collaterale che, nell’interesse di tutti, non dovrebbe essere sottovalutato. Un cambiamento storico nei rapporti tra uomini e donne non può essere portato a termine senza che le parti in causa collaborino. Se negli anni ’70, la prorompente carica libertaria del femminismo aveva senso logico, adesso quella energia ha perso gran parte del proprio effetto. Ascoltare oggi i discorsi che univano le protofemministe non produrrebbe le medesime reazioni prodotte allora. La presa di coscienza improvvisa che le donne, in quanto esseri umani, non potevano essere tenute, in una condizione di inferiorità, ai margini della società ebbe l’effetto di un improvviso schiaffo sul viso.
Sono passati 50 anni e l’uomo, ove più ed ove meno e in qualche luogo per nulla affatto, ha pacificamente accettato il senso del cambiamento indispensabile. La seconda parte del cambiamento necessario per portare a termine l’operazione di rendere equivalenti i generi deve procedere su un binario diverso. L’unico errore grave da non commettere, perché comporterebbe un salto all’indietro nel tempo che rischierebbe di annullare tutto il faticoso miglioramento acquisito finora, è pensare non di equivalere, ma di sostituire. Quindi il problema è il seguente: alla fine del processo di civilizzazione dobbiamo avere una società in cui uomini e donne siano equivalenti? Se la risposta è sì, credo sarebbe utile che alcune le donne interrompessero la costante sottovalutazione degli uomini tanto di moda nel presente della società occidentale che, se fa sorridere quelli che sono in grado di ragionare, offende quelli meno portati al ragionamento e li rende aggressivi. Utilizzo il termine equivalenti per i generi e non il termine uguali, perché l’uomo e la donna, pur provenendo da un embrione che non ha nulla di diverso – sviluppato in senso femminile, solo nell’ultima parte della gestazione vira in senso maschile – sono differenti perché i compiti svolti nelle migliaia di anni che hanno preceduto il presente li hanno forgiati differenti e anche perché la complessione fisica tra i sessi li rende tali.
Queste differenze rappresentano un arricchimento oltre che essere la base su cui si fonda la riproduzione del genere umano. Infine, è noto ai più che la donna, se da una parte non vuole restare indietro e a pieno titolo rivendica il diritto di equivalere, dall’altra
continua ad apprezzare gli atteggiamenti romantici e le carinerie se e quando le riceve da parte degli uomini. Scrivo ciò per ulteriore conferma che abbandonare determinati canoni comportamentali è difficile per tutti e non si può pretendere che cambiamenti così profondi accadano in un batter d’occhi e sia prodotta con superficialità tale da rovinare anche il buono che tra i generi esiste e, si spera, contini ad esistere. Il che non significa che non si debba continuare ad andare avanti nel processo di civilizzazione.
Per concludere, i concetti espressi da Elena Ceccherini sono condivisibili tutti, tranne nei riferimenti al linguaggio da caserma che gli uomini riservano alle donne, semplicemente perché molte donne si comportano in modo del tutto uguale e contrario nei confronti degli uomini. Solo chi non vede e non sente può negare che nell’odierna società la conflittualità tra i sessi è al livello più alto possibile. E dalla conflittualità non nascono le rose. Se le donne deridono i meno dotati col piglio arrogante della superiorità intellettuale e fisica, diventa poi difficile anche per gli uomini recuperarli. Comprendo che non è semplice. Comprendo che anche essere una donna fuori degli standard estetici produce obiettive difficoltà di accettazione sociale. Ciò non toglie che, siccome la terra è una e su questa terra siamo obbligati dalla biologia e dalla sociologia a convivere, la cosa migliore sarebbe trovare un punto di incontro culturale per iniziare una collaborazione più proficua del contrasto perenne, posto che gli ipo intelletti sono distribuiti equamente tra gli uni e le altre. Tentare si sostituire l’obsoleto e mai accertato suprematismo maschile con il presunto e mai accertato suprematismo femminile, non ci porta da nessuna parte. Dobbiamo imparare a collaborare. Questa è l’unica soluzione.
*romanziere e medico