di Massimo Cesarino*
Le politiche attive sono le misure che agiscono in modo assertivo sul mercato del lavoro puntando a promuovere l’occupazione e l’inserimento delle persone. Rientrano tra le politiche attive gli incentivi all’occupazione (esempio: sgravio under 36); gli incentivi alla rioccupazione (Assegno di ricollocazione); la promozione di esperienze pratiche in contesti lavorativi (tirocini); la formazione (Fondo nuove competenze); il sostegno economico e l’inserimento lavorativo (Reddito di cittadinanza).
Perché, dopo tanto tempo di silenzio sulle politiche attive, relegate a conversazioni tra addetti ai lavori, oggi queste trovano più spazio nelle pagine dei giornali?
Perché Pnrr, Gol, Fondo Nuove competenze, Transizione digitale ed ecologica sono tutte occasione e responsabilità tracciate per l’Italia dei prossimi cinque anni, che ciascuno degli interlocutori sociali, cittadini, imprese e istituzioni devono assumersi se si vuole che si possa ripartire con un modello nuovo e rafforzato, con un’economia più forte in grado di non lasciare nessuno indietro. Sviluppando un modello di politiche attive fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato che lavori sulla persona, sul suo reskilling ed upskilling, solo così sarà possibile passare dalla tutela del posto di lavoro alla tutela del lavoratore nel mercato del lavoro.
Senza una filiera forte a sostegno dei progetti di politiche attive si rischia che l’aumento occupazionale possa essere raggiunto in termini quantitativi ma non qualitativi. Oggi l’Italia soffre di politiche del lavoro che gravano su un mercato ingessato, tanto che le imprese segnalano difficoltà nel trovare le professionalità di cui hanno bisogno. Il motivo è da rintracciare nella compresenza di un forte tasso di disoccupazione e di una carenza altrettanto importante di competenze dovute a un sistema formativo debole, che porta quattro lavoratori su 10 a essere sovra o sottoqualificati. Più che la quantità di risorse stanziate, allora, occorrono strutture dei servizi per il lavoro ridefiniti, più efficaci e senza sovrapposizioni di competenze tra Stato e Regioni.
È chiaro quindi che, anche in questo caso, la messa a terra delle opportunità è il momento critico e decisivo affinché programmi e obiettivi non restino solo proclami, ma si trasformino in atti concreti che inneschino la ripresa occupazionale e, dunque, economica. Se nel mercato del lavoro che si sta disegnando e che sarà probabilmente diverso da quello pre-pandemia, le competenze, la loro flessibilità e capacità di adattamento al contesto saranno fondamentali, sarà altrettanto importante individuare chi si dovrà occupare del reinserimento dei disoccupati e della formazione delle nuove generazioni che si affacciano al mondo del lavoro.
Bisogna infatti tener conto di entrambi i fronti su cui occorre agire: da un lato il tasso di disoccupazione, al 7,8%, dall’altro la disoccupazione giovanile e i Neet, rispettivamente al 23% e 34,5% (dati Istat disoccupazione 2022). I dati dimostrano che saranno necessari interventi sull’occupazione e soprattutto sull’occupabilità, azioni decise che non possono tardare. In questo contesto, le iniziative di reskilling e upskilling dei lavoratori e, più in generale, le politiche attive del lavoro sono fondamentali per gestire il processo di ricollocazione. Tanto più decisive se si considera che le persone maggiormente colpite dalla crisi pandemica sono tendenzialmente con bassa formazione, come dimostrano i dati Ocse. È proprio per loro che sarà più difficile ritrovare una posizione stabile e remunerativa ed è, dunque, per loro che il coordinamento del processo di ricollocazione dovrà sortire l’impatto più rilevante. Data l’importanza del problema è fondamentale che l’incontro tra domanda e offerta di lavoro possa affidarsi a strumenti più efficaci ed efficienti. Da un lato bisogna permettere alle imprese di identificare più precisamente le competenze di cui necessitano, dall’altro bisogna garantire ai lavoratori, ai disoccupati e agli inoccupati percorsi per rafforzare il loro livello di occupabilità. Un cambio di mentalità, supportato anche dalle nuove tecnologie, potrebbe aiutare a superare i problemi che rendono stagnante il mercato del lavoro italiano. Manca, ad esempio, un’integrazione di banche dati e di competenze complementari che porterebbe a un corretto match tra i due mondi.
Il Pnrr mette in campo il programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol), in cui si inseriscono il concetto e la necessità di un’analisi del fabbisogno, ma i modelli operativi fino ad oggi utilizzati hanno ancora molte lacune che devono essere colmate, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra Governo e Regioni. Inoltre, la domanda di lavoro cambia così velocemente che senza un’efficace analisi del fabbisogno, anche predittiva, i percorsi di ricollocamento risulterebbero in ritardo. I problemi legati all’uniformità territoriale coinvolgono anche i centri per l’impiego, chiamati a svolgere un’attività personalizzata di bilancio e sviluppo delle competenze proprio partendo dall’analisi di fabbisogno, la quale non può più essere intesa come una semplice richiesta di risorse da parte delle aziende. In tal senso, come tavolo di lavoro e come Confindustria Chieti Pescara ci simo resi disponibili nei confronti della Regione ad istituire un osservatorio sulle professionalità al fine di anticipare i fabbisogni sul territorio, solo così sarà possibile creare percorsi in grado di formare lavoratori realmente competitivi sia nel presente che nel futuro.
Le rivoluzioni digital e green produrranno effetti consistenti sul mercato del lavoro. Per comprenderli e governarli, tutti gli attori coinvolti dovranno porsi quesiti concreti che richiederanno risposte altrettanto solide e operative. Quali sono i profili professionali che le transizioni faranno emergere maggiormente? Quali le skill da sviluppare? Come prepararsi alle nuove esigenze di aziende e lavoratori?
In tal senso, bisognerà agire su diversi piani: innanzitutto sugli iter di formazione erogati prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, a partire dai primi livelli del sistema educativo che dovranno essere in grado di garantire un’adeguata alfabetizzazione digitale. È poi fondamentale prevedere attività formative mirate all’interno delle aziende e percorsi sinergici in cui realtà educative possano operare al servizio di un’effettiva domanda di mercato. È da sottolineare, a questo proposito, il ruolo chiave che potranno ricoprire gli Its che, per propria missione, devono formare figure immediatamente inseribili in azienda, in collaborazione con realtà pubbliche e private del territorio. Questi andranno rimodulati sulla base delle nuove esigenze di mercato, creando quindi professionisti in grado di evolvere rispetto ai cambiamenti già in essere. La formazione in azienda, invece, dovrà essere continua e sostenuta anche dei fondi interprofessionali.
Pnrr, Gol e Fondo nuove competenze sono occasioni per costruire l’Italia del futuro, a cui si affianca più o meno implicitamente una visone moderna del lavoro che, per essere attivata su larga scala, richiede un processo di job design e di progettazione formativa innovativo. È dunque fondamentale attivare la filiera, coinvolgendo tutti gli attori del sistema: i cittadini, le imprese e le istituzioni a partire da quelle educative e formative. Solo l’attivazione di una relazione virtuosa tra tutti i soggetti permetterà di trasformare in realtà duratura l’occasione di oggi.
*Coordinatore tavolo di lavoro Politiche attive Confindustria Chieti Pescara e Area manager Maw