Lo scrittore e storico Costantino Felice, già professore di Storia economica all’Università D’Annunzio di Pescara, ha appena pubblicato un libro sul Fucino: Una storia esemplare – Fucino: bonifica, riforma agraria, distretto agroindustriale. Edito da Donzelli, collana Saggine, 18 euro. Costantino si occupa da sempre di economia e società nel Mezzogiorno, con particolare riguardo all’Abruzzo e al Molise. Ha curato il volume L’Abruzzo della collana Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi (Einaudi, 2000). È autore, tra l’altro, di Dal borgo al mondo (Laterza, 2001), e, per i tipi della Donzelli, di Verde a Mezzogiorno. L’agricoltura abruzzese dall’Unità a oggi (2007); Il Mezzogiorno operoso. Storia dell’industria in Abruzzo (2008); Il Mezzogior-
no tra identità e storia. Catastrofi, retoriche, luoghi comuni (2017); Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo (2022).
La sintesi del libro Una storia esemplare
È difficile trovare – non solo nel Mezzogiorno ma nell’Italia intera – un’area così carica di storia come il Fucino. Da qualunque versante dell’agire umano lo si consideri: tecnico-ingegneristico, artistico-
letterario, politico-sociale, agricolo-industriale. Immancabile meta dei voyageurs sette-ottocenteschi (e anche di età successiva), quest’ampia conca intermontana ha ispirato suggestive pagine della narrativa diaristica; ma soprattutto è diventata poi, come tutti sanno, lo scenario grandioso e palpitante della migliore letteratura siloniana. Altrettanto significative le vette che vi ha toccato il sapere tecnico: al centro di progettazioni ardite e avveniristiche fin dall’antichità, l’ingegneria idraulica del XIX secolo ne ha fatto oggetto infine – con il prosciugamento del lago e la messa a coltura del fertilissimo limo sottostante – di una gigantesca e discussa opera di manomissione, alterandone radicalmente i preesistenti quadri ambientali. Per secoli in balia dei vincoli e delle forze naturali, la piana fucense diventa a un certo momento, con i suoi numerosi manufatti e le sue geometriche squadrature, uno dei luoghi maggiormente costruiti e artificiali.
Il Fucino è stato anche fecondissimo terreno per la germinazione di solide forme della socialità e della
politica. Intorno alle sue spettacolari vicissitudini – non a caso pervase da un alone di epicità e leggenda –
sono andati consolidandosi interessi e aspettative, si sono aggregati ceti e costruite corporazioni, è cresciuto un associazionismo contadino e proprietario dai tratti talora originali, oltre che insolitamente
vigoroso e continuo nel tempo, specie dopo la riforma agraria, di cui proprio questa zona dell’Abruzzo è stata l’epicentro, fino ai giorni nostri. I suoi problemi sono stati spesso motivo di conflitti e dibattiti che, particolarmente nei periodi di maggiore tensione, hanno fatto maturare le coscienze, dando vita a movimenti di notevole portata. Lo scontro di classe, la contesa tra capitale e lavoro, tanto nei modi del loro svolgimento che nella soggettività dei protagonisti, vi hanno assunto spesso profili molto marcati, toccando punte di asprezza e di esemplarità che in certe fasi sono state di riferimento, se non addirittura di modello, per il complesso delle forze e degli schieramenti in campo a livello nazionale.
Ma è soprattutto sul piano delle dinamiche economiche che il Fucino ha funzionato da laboratorio. Per
il modo stesso in cui era sorto – vasta estensione di vergini terre sottratte alle acque lacustri – il «latifondo
Torlonia», anche dopo l’esproprio e la riforma del 1950, si prestava ad insolite sperimentazioni agronomiche e produttive. Le sue peculiarità lo ponevano di fatto al centro delle attenzioni: per tecniche colturali, ordinamenti agrari, assetti gestionali, fino allo straordinario distretto ortofrutticolo e agroindustriale che possiamo osservare oggi. Nelle sue forme di produzione e di organizzazione si esprimevano – come in parte accade tuttora sotto altre vesti – modalità imprenditoriali il cui significato andava ben oltre l’ambito locale e l’orizzonte familiare di un pur importante e potente casato romano. Vi si riflettevano, con forte impatto sulle strategie di livello nazionale, equilibri del mercato interno ed estero, indirizzi governativi, umori e orientamenti di classi e ceti sociali. Di qui il risalto – politico e culturale – dell’ampio e contrastato dibattito che ha accompagnato le tappe fondamentali della sua storia.
I giudizi ovviamente sono andati di volta in volta differenziandosi a seconda dei punti di vista e degli interessi in gioco: di solito positivi, com’era naturale, per la proprietà e gli apparati istituzionali; negativi per quanti – mondo del lavoro, possidenti e amministratori locali, settori della politica e della scienza – nelle scelte dei Torlonia, come poi in quelle delle forze politiche ed economiche preminenti, vedevano soprattutto miopia imprenditrice e volontà di dominio. Per gli uni il Fucino è stato (e rimane) un esempio di oculatezza gestionale e di progresso economico-sociale; per gli altri ha rappresentato un mostruoso impasto di oppressione e arretratezza. E anche ad osservarlo con l’occhio attento e disincantato della prospettiva storica, avendo presente ogni possibile variante e concausa, una valutazione univoca e sicura appare tutt’altro che facile. Il Fucino consente comunque di ragionare ancora una volta su tutta una serie di nodi tematici – logica nobiliare / logica borghese, economia/contesto, centro/periferia, Stato/mercato – che da sempre sono nelle riflessioni della migliore storiografia meridionalistica e nazionale.